L’amministratore di condominio che divulghi la notizia della morosità del condomino può essere condannato per diffamazione

L’amministratore di condominio è tenuto al rispetto della privacy con riguardo al versamento delle quote condominiali da parte dei condomini, laddove renda nota a terzi la morosità del condomino è passibile di essere accusato di diffamazione. Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22184/2019.

Un amministratore di condominio inviava a più destinatari una lettera in cui lamentava l’inadempienza di un condomino (una società di diagnostica) rispetto al pagamento delle quote condominiali.

Il condomino moroso citava in giudizio l’amministratore per chiedere il risarcimento dei danni arrecati dalla diffusione di tali informazioni personali, che contribuivano anche a dare una immagine di un soggetto commercialmente inaffidabile.

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’amministratore di condominio, motivando la propria decisione sulla base dell’inesistenza delle scriminanti, di cui all’art. 598 c.p.

Gli scritti, infatti, “non si riferivano ad una controversia giudiziale o amministrativa del diritto di libera espressione del pensiero e dell’esercizio del diritto di difesa, bensì costituivano iniziative epistolari del tutto extragiudiziali, non giustificando, altresì, l’applicazione dell’esimente in riferimento ad alcune lettere relative a vicende giudiziali intercorse”.

Tra la documentazione allegata, per talune lettere emergeva il carattere diffamatorio, tanto più che la missiva era indirizzata a soggetti, quali il Sindaco del comune ed il Presidente della Regione (di cui i soggetti interessati facevano parte), che nulla avevano a che fare con le questioni condominiali oggetto di doglianza. In una lettera, in particolare, personalità pubbliche sono state messe al corrente del fatto che il condomino, ovvero la società di diagnostica, “adducendo giustificazioni pretestuose, quest’anno non ha versato neppure un centesimo di spese condominiali», aggiunta che, quand’anche vera, integrava diffamazione lesiva della privacy poiché non costituente atto difensivo nell’ambito di controversia e volta esclusivamente a mettere in cattiva luce la società dipingendola come soggetto, oltre che avente a carico indagini penali, inadempiente alle obbligazioni pecuniarie”.

                                                       Avv. Claudia Poscia

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