Nascita indesiderata e danno psichico: inammissibile il frazionamento del danno biologico accertato

La particolare vicenda nasce dal Tribunale di Camerino che con sentenza del febbraio 2005 giudicava responsabile il medico ginecologo e la struttura sanitaria, ove lo stesso svolgeva la professione, condannandoli al risarcimento del danno morale, biologico e patrimoniale a causa della nascita indesiderata di una bambina affetta da sindrome di down.

In sostanza il Ginecologo si era rifiutato di svolgere gli esami e i test prenatali sulla donna a causa dell’intervento di cerchiaggio dell’utero cui la stessa si era sottoposta agli inizi della gravidanza. Per tale ragione il Ginecologo sconsigliava alla donna ogni ulteriore pratica invasiva sul feto.

Il Medico e la struttura ospedaliera impugnavano la sentenza del Tribunale in Appello e la donna svolgeva appello incidentale.

La Corte con sentenza non definitiva del 2013 confermava quando deciso dai Giudici di primo grado in merito alla responsabilità del Ginecologo e dell’Ospedale e con sentenza definitiva del gennaio 2016 in merito, che decideva solo sul quantum debeatur, accertava in misura minore rispetto al Tribunale di primo grado sia il danno biologico che il danno patrimoniale conseguente alla omessa effettuazione dei test diagnostici richiesti dalla donna durante la gravidanza al proprio Ginecologo.

La Corte d’Appello di Ancona negava la sussistenza del danno morale che, invece, era stato riconosciuto in primo grado come ulteriore voce di danno alla persona, ritenendolo assorbito nel danno biologico di tipo psichico permanente riconosciuto alla donna nella misura del 20% dal Consulente Medico Legale nominato dal Tribunale.

La Corte riconosceva pertanto alla madre 1/3 del danno biologico accertato nella misura del 20% poichè riteneva gli altri 2/3 del danno biologico di tipo psichico derivanti da cause diverse da quelle dello “stress da nascita indesiderata”.

Eguale percorso argomentativo seguiva la Corte nella liquidazione del danno patrimoniale che veniva riconosciuto alla donna nella misura di 1/3.

La donna ricorre in Cassazione adducendo errata determinazione del risarcimento del danno, incidentalmente ricorre anche il Ginecologo adducendo errata attribuzione della responsabilità per mancato assolvimento dell’onere della prova dell’intento abortivo della donna e omessa pronuncia di manleva nei confronti dell’assicurazione dallo stesso chiamata in giudizio.

Gli Ermellini affrontano dapprima il ricorso incidentale del Ginecologo poiché inerente la responsabilità affermata dai due precedenti gradi di giudizio e lo considerano infondato.

Al riguardo richiamano il principio reso dalle Sezioni Unite sulla responsabilità medica da nascita indesiderata il quale recita che “ il genitore che agisce per il risarcimento del danno deve provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza qualora fosse stata informata dell’anomalia del feto, mentre sul Medico grava la prova contraria che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale”, e considerano assolto da parte della donna l’onere probatorio.

Il primo motivo del ricorso principale della donna attinente al mancato riconoscimento degli aspetti esistenziali che dovevano essere liquidati in via autonoma, oltre al danno biologico, viene considerato infondato.

Gli Ermellini ritengono che la Corte d’Appello abbia correttamente applicato i principi espressi dalla celeberrima pronunzia delle Sezioni Unite del 2008 sul danno esistenziale.

Ovverosia, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti il Giudice deve valutare sia l’aspetto interiore del danno (danno morale) sia le conseguenze peggiorative dello stesso che si riflettono nella vita quotidiana.

L’oggetto dell’accertamento e della quantificazione del risarcimento è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, che si può connotare di entrambi gli aspetti essenziali, costituenti danni diversi e autonomamente risarcibili ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova.

Ne deriva che costituisce una duplicazione risarcitoria riconoscere congiuntamente il danno biologico e il danno dinamico-relazionale perché l’aspetto dinamico-relazionale attiene a pregiudizi già espressi nella percentuale di invalidità del danno biologico.

Non è una duplicazione, invece, attribuire congiuntamente il danno biologico e una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale perché non hanno base organica e sono estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente.

Quindi nel caso in cui sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi disancorati dalla valutazione medico-legale, essi dovranno essere separatamente valutati e liquidati. (Cass. sez. III, Ordinanza 7513/2018).

Ribadito tali concetti, i Supremi Giudici evidenziano che il danno psichico riconosciuto alla donna ha la natura di “struttura a cerchi concentrici” -all’ interno dei quali vi è l’alterazione dell’equilibrio biologico e mentale- e che quindi al suo interno include le forme più blande del danno esistenziale.

Il secondo motivo di impugnazione della donna riguarda la quantificazione di 1/3 del danno biologico permanente fatta dalla Corte d’Appello che, dopo avere valutato il danno psichico nella misura del 20%, ha proceduto alla personalizzazione secondo i valori indicati dalle tabelle milanesi aumentando il valore punto fino al massimo, dopodiché ha svolto una scomposizione del danno in tre parti, riconoscendone infine la misura di 1/3.

La Suprema Corte osserva che il danno psichico è per sua natura soggettivo ed assume differenti dimensioni a seconda del soggetto su cui incide. Il danno del 20% accertato dal C.T.U. in corso di causa è il danno attribuito alla donna esaminata. Senz’altro su altri soggetti il danno psichico, anche se di eguale derivazione da nascita indesiderata, sortirà valutazioni medico-legali differenti.

Per tale ragione è privo di logica scomporre o frazionare la responsabilità dell’autore del danno   con conseguente ridimensionamento del risarcimento.

Nel rapporto di causalità in ambito di responsabilità civile qualora le condizioni ambientali o i fatti naturale che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile all’uomo siano sufficienti a determinare il danno indipendentemente dal comportamento dell’uomo, l ’autore dell’azione resta sollevato interamente non avendo posto in essere nessun antecedente dotato in concreto di efficienza causale.

Se, invece, quelle condizioni non possano dare luogo senza l’apporto umano al danno, l’autore del comportamento è responsabile per intero non potendo in tal caso operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa.

La comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.

Qualora vi sia anche una minima incertezza sulla rilevanza di un contributo concausale di un fattore naturale non è giuridicamente ammissibile l’utilizzazione di un ragionamento probatorio che conduca a un frazionamento delle responsabilità in via equitativa con conseguente ridimensionamento del risarcimento.

Ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito e un danno di natura psichica non è necessario che il danno psichico si prospetti come conseguenza inequivoca dell’evento traumatico ma è sufficiente che la derivazione causale del primo al secondo possa affermarsi in base a un criterio di elevata probabilità e che non sussista l’intervento di un fattore successivo idoneo a disconnettere la sequenza causale.

In definitiva, il danno accertato in giudizio della donna è la misura del danno della stessa e non una misura standardizzata per il danno psichico e quindi la Corte d’Appello doveva attenersi , senza scomporre, basandosi su con-cause concomitanti o successive, che sono risultate prive di incidenza sul danno stesso, a liquidare il danno accertato nella sua interezza.

Il terzo motivo di gravame della donna riguarda la carenza di motivazione sul danno patrimoniale liquidato.

Anche in questo caso la Corte territoriale ha scomposto in tre parti il danno e, a parere dei Supremi Giudici, anche qui senza ragionevoli motivazioni e senza logica.

Il danno patrimoniale è riconducibile alla nascita indesiderata e quindi involge tutta la vita della donna atteso che dovrà occuparsi per tutta la vita di un figlio diversamente abile. Ne consegue che una “scomposizione” è totalmente priva di logica.

Avv. Emanuela Foligno

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