Paziente si lancia dalla finestra della stanza di ricovero (Corte Appello Catanzaro, Sentenza n. 1010/2023 pubblicata il 07/09/2023).

Con atto di citazione regolarmente notificato, il marito della paziente deceduta  conveniva in giudizio l’Azienda sanitaria rappresentando che la moglie, dopo essere stata portata presso il pronto soccorso dell’ Ospedale di Chiaravalle Centrale per un uso incongruo di farmaci veniva trasferita presso l’Ospedale di Soverato, dove veniva ricoverata nel reparto di Medicina.

Nella notte del 12.06.14 alle ore 03:00 circa la paziente, eludendo la sorveglianza della cognata, che era preposta alla sua custodia per la notte, si lanciava dalla finestra della stanza in cui era ricoverata e moriva per l’ impatto col suolo.

L’attore, pertanto, deduce una culpa in vigilando del personale sanitario che non adottava misure cautelari opportune.

Il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda e il soccombente propone appello.

L’appellante denuncia con un unico motivo  la presunta nullità della sentenza gravata essendo priva dell’esposizione delle ragioni giuridiche della decisione, nonché delle norme di legge e dei principi di diritto applicati deducendo, di fatto, le medesime questioni già esposte in primo grado ribadendo la responsabilità della Struttura per culpa in vigilando.

L’appellante, tuttavia, si è limitato ad affermare l’erroneità della sentenza che ha escluso la responsabilità della Struttura senza concretamente scardinare il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice di primo grado.

La Struttura sanitaria, nel momento stesso in cui accetta il ricovero di un paziente, stipula un contratto dal quale discendono due obblighi: il primo è quello di apprestare al paziente le cure richieste dalla sua condizione; il secondo è quello di assicurare la protezione delle persone di menomata o mancante autotutela, per le quali detta protezione costituisce la parte essenziale della cura.

L’obbligo di vigilanza gravante sulla struttura è un obbligo di protezione che scaturisce naturalmente dal contratto col paziente e va adempiuto ad ogni modo, al fine di prevenire tutti i rischi potenzialmente incombenti sul degente, alla sola condizione che rientrino “nei criteri della prevedibilità”.

Per quanto concerne la valutazione del rischio di suicidio, lo Psichiatra deve valutare, in relazione a motivazioni cliniche giustificanti legate ad evidenze cliniche condivise e nel rispetto di buona pratica clinica, nell’attualità e concretezza del caso specifico , le variazioni del rischio suicidario. Queste variazioni di rischio devono essere documentate in cartella clinica ove vanno anche indicati i relativi, proporzionali, fattibili, controllabili e monitorabili provvedimenti cautelativi.

Dall’attività istruttoria svolta in primo grado, non sono emersi elementi che potessero in alcun modo insinuare nei sanitari il dubbio che la paziente avrebbe messo in atto il gesto suicidario. La paziente, infatti, non presentava elementi di disturbo formale del pensiero in atto, né tantomeno la stessa riferiva o in alcun modo si poteva dedurre che avesse avuto, in passato, problematiche di natura psichiatrica; non vi era alcuna storia pregressa, né alcuna evidenza di disturbo psichico attuale.

Dall’istruzione probatoria è stato accertato che la paziente non soffriva di malattie psichiatriche per come veniva rilevato dalla nota del 18.10.2010 a firma del Medico, da questi confermata in sede di escussione testimoniale all’udienza del 29.9.2016.

Altra teste, paziente ricoverata nella stessa camera della vittima, confermava che la donna veniva valutata dallo Psichiatra che non rilevava nulla di particolare. Pertanto, è stato correttamente valutato in primo grado che la vittima non aveva patologie mentali.

Ciò posto, alcuna culpa in vigilando poteva essere ascritta ai sanitari che ebbero in cura la paziente avendo posto in essere ogni attenzione corrispondente al motivo di accettazione del ricovero da parte dell’ente ospedaliero in relazione allo stato di malattia in cui versava la povera vittima.

L’appello viene respinto e la sentenza gravata viene confermata.

Avv. Emanuela Foligno

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