La capacità lavorativa nella responsabilità civile (Cassazione civile, sez. III, 18/07/2023, n.20922).

Perdita – riduzione della capacità lavorativa nella responsabilità civile.

Veniva citato dinanzi al Tribunale di Crotone il Comune e l’ASL esponendo che la donna era caduta su una via del Comune per “avvallamenti e piccole ma profonde buche” sul manto stradale, tutto ciò risultando invisibile perché coperto da acqua piovana e fango. Ricoverata in Ospedale subiva un intervento chirurgico e poi, per sopravvenuta ischemia, veniva trasportata in un centro specializzato subendone un altro.

Ritenendo la responsabilità del Comune per difetto di manutenzione e di vigilanza della strada e la responsabilità dell’Asl e del Medico per l’asserito inadeguato trattamento ospedaliero, gli attori chiedevano il risarcimento dei danni derivati sia dalla caduta, sia da un preteso errore del Medico, riferibile dunque anche alla Struttura.

Il  Tribunale condannava i convenuti a risarcire alla danneggiata la somma di 830.121,08 Euro oltre accessori, e ai suoi congiunti la somma di 69.136,94 Euro oltre accessori ciascuno, attribuendo la responsabilità per metà al Comune, per un quarto ciascuno all’ASL e al Medico.

Proponevano appello l’ASL e il Comune e i familiari della vittima intervenivano con appello incidentale.

La Corte d’appello, in parziale riforma, rigettava le domande nei confronti del Comune, ritenendo complessivamente assorbente l’incauta condotta della vittima; accoglieva l’appello incidentale quanto al condannare l’ASL a pagare ulteriori somme a titolo di spese mediche e accessorie; per il resto rigettava il gravame negando sussistesse prova del danno patrimoniale  invocato dalla vittima per la perdita della capacità lavorativa.

La danneggiata e i suoi congiunti ricorrono in Cassazione  lamentando errata applicazione dei principi relativi alla responsabilità ex art. 2043 c.c. e 2051 c.c., violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, e infine violazione, degli artt. 115 e 116 c.p.c., poiché, in particolare, la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che le piccole ma estese buche lungo la strada erano del tutto invisibili e imprevedibili, essendo coperte da acqua mista a fango, secondo quanto risultato dall’istruttoria, e perché non avrebbe considerato che la condotta della vittima non era stata abnorme e non poteva avere interrotto il nesso eziologico, invece riferibile alla condotta anche colposa del Comune che non aveva eseguito la corretta manutenzione della strada.

Con ulteriore motivo censurano omessa, o insufficiente, motivazione laddove la Corte di appello avrebbe errato mancando di ripartire, in coerenza con la consulenza medico legale, la responsabilità, attribuendola al 78% all’Asl e al Medico, e al 22% al Comune.

Infine denunciano che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che la vittima era divenuta completamente inabile al lavoro, che aveva al contempo  conseguito il diploma di scuola magistrale e dunque una potenzialità e prospettiva lavorativa, specie tenuto conto della sua giovane età al momento dell’accaduto, e in ogni caso la sua attività domestica era patrimonialmente quantificabile facendo riferimento al contratto collettivo delle collaboratrici familiari, se non al criterio del triplo della pensione sociale.

Le prime tre doglianze non vengono ritenute fondate.

I Giudici di Appello hanno affermato che:

– l’imprevedibilità per invisibilità delle buche, costituiva apprezzamento dei testimoni escussi, e non fatto in senso proprio;

– era risultato che la strada percorsa era interamente coperta da acqua e fango, per ciò stesso “intransitabile normalmente”, ovvero non cautamente transitabile, e non ha incidenza logica la circostanza che il tratto di strada fosse transitabile a piedi, posto che andava in concreto valutato lo stato dei luoghi.

Sul punto la Corte territoriale ha motivato ampiamente e tale valutazione non è sindacabile.

Cio’ posto, esclusa la responsabilità del Comune, l’obbligazione risarcitoria ricadrebbe sulla Struttura Sanitaria, per quanto contestato.

La ultima doglianza, inerente la perdita – riduzione della capacità lavorativa, in specie generica, è fondata.

Quando viene  accertata una perdita – riduzione della capacità lavorativa generica, possono applicarsi  le presunzioni dell’esistenza di un danno patrimoniale emergente e da lucro cessante . Tale perdita patrimoniale puo’ essere determinata dall’impedimento o dalla riduzione dell’attività di lavoro, anche domestico, che il soggetto svolgeva – anche se a suo favore. Qualora, invece il lavoro domestico era svolto a titolo gratuito, o in adempimento dei doveri di solidarietà familiare, a vantaggio di soggetti terzi, i danneggiati sono esclusivamente questi ultimi. La relativa liquidazione, in entrambi casi, non puo’ che avvenire in via equitativa, tenendo in considerazione i redditi figurativi emergenti dal CCNL delle Colf, oppure attraverso il criterio legale del triplo della pensione sociale.

Ebbene, risulta pacificamente provato che la vittima svolgeva attività domestica nella propria famiglia ed anche a suo favore, pertanto, il Giudice del rinvio dovrà liquidare il relativo danno.

Gli Ermellini non prendono in considerazione la doglianza inerente al diploma di scuola magistrale e alla relativa impossibilità lavorativa, poiché non viene indicato dai ricorrenti  dove esso sia specificatamente rinvenibile per poterne verificare il contenuto, in aperta violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Ad ogni modo, tale censura viene correlata a un danno da perdita di “chance” che non risulta domandato nelle fasi di merito.

OSSERVAZIONI

La decisione a commento ricalca il noto orientamento, in tema di responsabilità custodiale, secondo cui quando il comportamento del danneggiato risulta ragionevolmente incauto, stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa, o dal comportamento della stessa vittima, o se vi sia stato concorso causale tra tali due fattori, è prerogativa del Giudice di merito che deve anche tenere in considerazione i doveri di precauzione e cautela dell’utente della strada.

Interessante, altresì, si presenta l’analisi della perdita-riduzione della capacità lavorativa, in specie di lavoro domestico, da sempre riconosciuto laddove richiesto. Chiarita, oltremodo, anche la liquidazione di questa posta risarcitoria che può avvenire o equitativamente o attraverso il principio del triplo della pensione sociale.

Sguarnita di idonea domanda della danneggiata, infine, la paventata perdita di chance dell’insegnamento. La danneggiata non può limitarsi ad affermare di avere conseguito “un diploma”, ma avrebbe dovuto concretamente dimostrare la rinunzia a eventuali proposte lavorative di insegnamento.

Avv. Emanuela Foligno

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