La decisione a commento inerente la responsabilità medica, chiarisce che “il giudizio di responsabilità civile non si fonda su un’asserzione di certezza ma su una valutazione in termini probabilistici” (Cassazione civile, sez. III, 21/10/2022, dep. 21/10/2022, n.31136).

I fatti

Il paziente accusava un malore e veniva trasportato al pronto soccorso dell’Ospedale, e da qui trasferito con la diagnosi iniziale di “epigastralgia colica addominale” presso altra Struttura, dove decedeva con la diagnosi di ischemia infero-laterale estesa, malgrado i tentativi di rianimazione posti in essere.

I familiari sporgevano denuncia-querela, ritenendo che lo svolgimento dei fatti evidenziasse una responsabilità anche penale dei medici che avevano assistito paziente nei suoi ultimi giorni di vita; il G.I.P. dichiarava non doversi procedere nei confronti dei medici del pronto soccorso, mentre con separato decreto disponeva il rinvio a giudizio di due Medici della seconda struttura; il procedimento penale era definito con successiva dichiarazione di non doversi procedere nei loro confronti per intervenuta prescrizione.

Nel 2004 i congiunti citavano in giudizio la Ausl, cui faceva capo l’ospedale, e i Medici per vedere accertata la responsabilità medica nella morte del paziente, in particolare per non averlo tempestivamente ricoverato in una unità intensiva coronarica. Il Tribunale rigettava la domanda.

Il ricorso in Appello e l’accertamento della responsabilità medica

Successivamente, la Corte di appello di Bari sovvertiva l’esito del giudizio di primo grado accogliendo l’appello dei familiari nei confronti dei della Asl e dei tre Medici, questi ultimi rispettivamente responsabile del reparto di medicina generale, ove rimaneva ricoverato fino alla sua morte, e consulenti Cardiologi. I soccombenti venivano condannati a pagare a titolo risarcitorio per perdita del rapporto parentale la somma di Euro 245.990 in favore di ciascuno degli appellanti, ovvero i due figli e la moglie del paziente.

Per quanto qui di interesse, i Giudici di appello separavano la posizione dei medici di guardia in servizio presso il pronto soccorso del presidio ospedaliero, che riteneva esenti da colpa, dalla posizione di altri 3 Medici, il primo primario del reparto di medicina generale dell’ospedale , e gli altri 2 suoi consulenti di cardiologia.

La Corte di appello afferma essere sussistente la prova del nesso causale, applicando la regola probatoria del più probabile che non.

Ovverosia, Il Primario di medicina, e i 2 Cardiologi avrebbero “dovuto riscontrare la grave patologia cardiaca in atto e intervenire tempestivamente attivandosi per il trasferimento del paziente nel reparto di unità coronarica più vicino, il che avrebbe consentito un monitoraggio approfondito e costante e la sottoposizione precoce del paziente a rivascolarizzazione miocardica, al fine di assicurargli le terapie adeguate alla sua condizione, che solo un reparto di unità coronarica poteva fornire, a prescindere dalla conseguimento della certezza che tali trattamenti avrebbero scongiurato l’esito mortale, proprio perché il giudizio di responsabilità civile non si fonda su un’asserzione di certezza ma su una valutazione in termini probabilistici.”

Ancora, la Corte d’appello precisava che “le probabilità di sopravvivenza del paziente specializzato sarebbero state sicuramente superiori a quelle che allo stesso venivano concesse in un reparto inidoneo in quanto sprovvisto della necessaria strumentazione quale quello di medicina generale”. Affermava di non condividere l’interpretazione data dal primo Giudice alle stesse valutazioni del CTU, intese come indicatore solamente di un danno ontologicamente diverso, quale quello da perdita di chance. Affermava che al contrario emergeva dalla CTU il ruolo concausale nella condotta omissiva dei tre sanitari nel provocare la morte del paziente.

La Cassazione

La ASL impugna la decisione in Cassazione. Sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in adeguato conto i motivi di appello incomprensibili perché non adeguatamente esplicitati. Segnala, inoltre, l’inammissibilità dell’appello anche perché gli appellanti avrebbero formulato per la prima volta in appello la diversa domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, che deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicitamente inclusa nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di tutti i danni causati dalla morte della vittima.

Con una seconda censura sostiene erronea applicazione dei principi che gravano l’attore dell’onere di fornire la prova del nesso causale tra il comportamento dei sanitari e il verificarsi del danno, e che dalla relazione peritale non emergerebbe una condotta colposa dei Medici. Con il terzo motivo lamenta l’omesso esame della relazione di CTU, laddove viene indicato il comportamento dei tre medici, ritenuti poi responsabili, come sicuramente imperito e negligente, fonte di un ruolo concausale non nella morte del paziente ma soltanto in una perdita di chance di guarigione.

La terza censura è fondata. Le considerazioni della Corte d’appello sul comportamento inadeguato, imprudente e imperito dei medici non sono allineate ad un rigoroso ragionamento controfattuale, volto all’accertamento del nesso di causalità tra il comportamento da questi tenuto e il decesso del paziente, da porre alla base dell’affermazione, seppur in termini probabilistici e non di assoluta certezza, che ove spostato in un reparto in grado di fornire le cure adeguate il paziente si sarebbe salvato.

La sentenza afferma che “la preclusione di tali interventi sanitari, operabili esclusivamente in un reparto UTIC, ascrivibile all’omissione contestata, ha indubbiamente concorso, alla stregua del criterio di probabilità relativa (…) al tragico epilogo determinatosi” per poi aggiungere ” le probabilità di sopravvivenza in un reparto specializzato sarebbero state sicuramente superiori a quelle che allo stesso venivano concesse in un reparto inidoneo in quanto sprovvisto della necessaria strumentazione, quale quello di medicina“. Poi, però, conclude incoerentemente con l’accoglimento della domanda risarcitoria ritenendo provata l’esistenza del nesso causale tra il comportamento dei medici e il danno consistente nella morte del paziente.

Perdita di chance e nesso causale

Le risultanze della CTU fanno intendere che al paziente sia stata negata la possibilità di ottenere un risultato migliorativo, che avrebbe avuto qualche chance di conseguire (conformemente alla nozione di perdita di chance, da valutarsi non in relazione alla concreta possibilità del paziente di guarire, cioè in relazione non al risultato atteso, ma in relazione alla perdita della possibilità di conseguire il risultato utile e sperato).

I Giudici di appello hanno confuso i 2 concetti, quello della chance, ovvero della perdita della possibilità del conseguimento di un risultato utile soltanto sperato, e quello dell’accertamento del nesso causale pieno in relazione alla perdita del bene vita, ovvero dell’accertamento, come più probabile che non, che il comportamento corretto e tempestivo dei sanitari, ovvero l’immediato trasferimento del paziente nell’unità specializzata, avrebbe potuto evitare la morte e fare conseguire il risultato sperato (la guarigione del paziente) e predica, a quella che descrive in fatto come mera perdita della possibilità di conseguire un miglior risultato, le conseguenze risarcitorie proprie dell’accertamento diretto del nesso di causa tra la responsabilità medica ovvero il comportamento omissivo dei medici e la morte del paziente con l’integrale risarcimento, a carico dei medici e della ASL, del danno da perdita del rapporto parentale subito dalla moglie e dai figli.

Conclusivamente, la Corte d’appello dovrà rinnovare il giudizio in relazione al terzo motivo, accolto, e dovrà quindi accertare se il comportamento omissivo dei medici dell’Ospedale, consistente nel non aver disposto il trasferimento del paziente in altro ospedale munito di unità coronarica, possa considerarsi, alla stregua del ragionamento controfattuale fondato sul criterio del più probabile che non, in rapporto di causalità con la morte del paziente, qualora si reputi più probabile che, se trasferito immediatamente, sarebbe sfuggito all’esito mortale, o se esso rilevi solo in termini di probabilità di perdita della concreta possibilità di un risultato soltanto sperato, o ancora se non possa ritenersi provato il nesso causale neppure in riferimento alla perdita di chance; e in caso di accoglimento della domanda in relazione all’una o all’altra voce, provvederà poi alla liquidazione del danno in favore degli aventi diritto.

I Giudici del rinvio dovranno attenersi ai seguenti principi di diritto:

– in materia di risarcimento del danno alla persona, il giudice deve preliminarmente qualificare la domanda, se volta ad ottenere il risarcimento integrale del danno per il verificarsi dell’evento infausto, o se volta ad ottenere il danno da perdita di chance;

– dovrà quindi, in entrambi i casi, provvedere alla verifica dell’esistenza del nesso causale, il cui onere probatorio grava sull’attore, tra condotta e danno, tramite ragionamento probabilistico;

– se il danno lamentato consiste nella perdita di un bene della vita, dovrà accertare mediante ragionamento controfattuale se, ove fosse stato tenuto un comportamento diverso, è più probabile che il danno non si sarebbe verificato;

– se invece il danno lamentato consiste nella perdita di “chance” dovrà accertare se il comportamento ha portato alla perdita della possibilità apprezzabile di conseguire un risultato soltanto sperato, e non già al mancato risultato stesso.

Le osservazioni dell’avv Foligno

La decisione a commento si presenta interessante sotto svariati profili: la qualificazione della domanda introduttiva, il giudizio controfattuale, la perdita di chance e la valutazione in termini probabilistici.

Innanzitutto è pacifico che il Giudice investito debba qualificare la domanda e verificare se viene richiesto il risarcimento per la morte del paziente, o se viene chiesto il danno da perdita di chance (o entrambe le poste: l’una in via principale e l’altra in via subordinata).

Se la vicenda all’esame riguarda la perdita di vita del paziente per malpractice deve essere applicato il giudizio controfattuale, ovverosia: bisogna chiedersi se, ove i sanitari avessero tenuto un comportamento diverso, è più probabile che non che il danno non si sarebbe verificato.

Qualora, invece, la domanda riguarda la perdita di chance (come già detto, proponibile in via subordinata, ad esempio), il Giudice deve accertare se il comportamento dei sanitari ha realizzato la perdita della possibilità “apprezzabile” di conseguire un risultato soltanto sperato.

Avv. Emanuela Foligno

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