Sia il comportamento della vittima sia quello del suo cane erano stati determinati dalle azioni dell’altro cane ed in esse trovano giustificazione causale: di qui l’impossibilità di escludere il nesso di causalità

La vicenda

Nell’ottobre del 2015, il Tribunale di Padova rigettava integralmente la domanda di risarcimento danni proposta dagli eredi di un uomo deceduto dopo essere caduto, sbattendo la testa, nel tentativo di porre fine ad una rissa tra cani.

Secondo la dinamica dei fatti emersa in giudizio, l’uomo mentre era a passeggio con la moglie e il proprio cane di razza, un husky, si imbatteva in una signora in bicicletta, che usciva da un albergo accompagnata dal proprio cane di piccola taglia, un meticcio, senza guinzaglio e senza museruola.

Il meticcio, alla vista dell’husky iniziò subito ad abbaiare aggredendo dapprima l’altro cane e poi, rivolgendosi verso la moglie del de cuius, cui azzannava la caviglia; ebbene, questi nel tentativo di mettere fine alla zuffa canina, cadeva battendo violentemente la testa, per poi morire due giorni dopo nell’ospedale ove era stato ricoverato.

Tali fatti erano stati confermati da un testimone oculare il quale aveva riferito che la caduta dell’uomo era stata provocata proprio dal cane; egli infatti, nel tentativo di controllarlo e di allontanarlo col guinzaglio era scivolato all’indietro, rimanendo ferito gravemente al capo.

Il Tribunale di Padova aveva tuttavia, ritenuto la domanda attorea non fondata per la mancanza di prova del nesso di causa (o concausa) tra la caduta della vittima, che l’aveva portato al decesso, e il comportamento del cane di proprietà della signora convenuta in giudizio; ritenendo piuttosto, l’evento, riconducibile al caso fortuito che, come noto, limita la responsabilità prevista a carico del proprietario dell’animale ai sensi dell’art. 2052 c.c., quale fattore esterno che presenti i caratteri dell’imprevedibilità, inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità nella causazione del sinistro.

A detta del giudice di primo grado, il litigio tra i cani, provocato sicuramente dalla presenza del meticcio senza guinzaglio, era stata non causa, ma solo occasione della caduta del de cuius, verificatasi nel tentativo di allontanare, tirandolo col guinzaglio, il proprio cane, che si opponeva con forte resistenza, quando ormai tra l’altro animale si era già allontanato.

Alla stessa conclusione, ma con motivazione diversa, erano giunti i giudici della corte d’appello, secondo cui, la precedente lite tra i cani non aveva avuto alcuna incidenza sul nocciolo della questione. La caduta del de cuius era stata determinata unicamente dallo strattonamento da parte del proprio cane.

A seguito del ricorso formulato dai congiunti della vittima, la vicenda è giunta in Cassazione.

Il motivo denunziava il vizio di falsa applicazione, nonché l’erronea sussunzione della fattispecie in esame, negli artt. 40 e 41 c.p., nonché della norma civilistica di cui all’art. 2052 c.c.

Ebbene il ricorso è stato accolto (Cassazione n. 21772/2019), perché fondato.

A detta degli Ermellini, a) il comportamento del de cuius era stato determinato dall’attivarsi per impedire la prosecuzione e reiterazione della rissa canina e, dunque, risultava causalmente dipendente dal primo comportamento tenuto dal meticcio, quello concretatosi nell’inizio della rissa e, quindi, nella “presa” sull’husky: se la rissa non fosse iniziata (considerando che il meticcio che era libero di agire e di dirigersi verso l’husky, non essendo tenuto al guinzaglio), il detto comportamento non si sarebbe verificato.

b) anche il comportamento dell’husky era stato determinato dal comportamento del meticcio consistito, dopo aver mollato la presa nei suoi riguardi, nell’azzannare la caviglia della sua padrona.

In altre parole, se il primo comportamento del meticcio non fosse stato in atto, il de cuius non avrebbe tenuto il suo comportamento, antecedente alla serie causale successiva; se, mollata la presa sull’husky, il meticcio non si fosse rivolto contro la sua padrona, l’husky non avrebbe operato lo strattonamento e comunque, tale strattonamento era sempre in dipendenza con la zuffa originaria.

La corte d’appello aveva allora, errato a ricondurre, sia il fatto della vittima sia quello del suo cane, nell’ambito dell’art. 41, secondo comma, c.p. e quindi, erroneamente considerati come cause sopravvenute, da sole sufficienti per il tramite dello scivolamento e della caduta, della verificazione dell’evento di danno, sì da privare e rendere giuridicamente irrilevante, ai fini del nesso di causa, tanto il precedente comportamento del meticcio, quanto quello consistito nell’azzannare la caviglia della signora.

L’interruzione del nesso di causa per causa sopravvenuta

Del resto anche la giurisprudenza civile afferma che “si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso soggetto danneggiato), quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno sì da provare dell’efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell’agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell’illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall’adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa coerenti ed adeguate (Cass. n. 19180/2018).

Ebbene, sostituendo in tale principio di diritto, al “fatto del danneggiante” il “comportamento del meticcio” ed al “comportamento sopravvenuto” di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato”), risultava palese che tanto la condotta del de cuius (quale danneggiato), quanto quella dell’husky fossero state preordinate proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze del fatto illecito originante dal comportamento del meticcio.

In altre parole, sia il comportamento della vittima sia quello del suo cane erano stati determinati dalle azioni del meticcio ed in esse trovano giustificazione causale: di qui l’impossibilità di escludere il nesso di causalità.

La redazione giuridica

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