L’unico intervento che avrebbe potuto evitare la sofferenza fetale era il parto cesareo.

I due Medici imputati godono dell’estinzione del giudizio penale per prescrizione, ma i Giudici confermano le statuizioni civili anche nei confronti della ASL Roma 3.

I fatti

Il 17 dicembre 2012 la partoriente si era recata all’ospedale per rottura delle membrane; il parto era avvenuto alle ore 7.43 del 18 dicembre 2012; la neonata era nata con numerosi giri di funicolo: due intorno al collo, uno a bandoliera e l’altro sull’inferiore destro e uno alla caviglia.

Appena nata la bambina era in arresto cardiaco, poi rianimata con successo e trasferita presso un altro Ospedale dove era stata dimessa il successivo 16 gennaio 2013 con diagnosi di asfissia perinatale tratta con ipotermia, convulsioni stato di male epilettico, insufficienza renale acuta“.

Ai Medici era stato contestato di aver cagionato alla neonata lesioni personali con indebolimento permanente dell’organo celebrale e danno probabilmente insanabile (encefalopatia neonatale su base anossica) per colpa consistita in imprudenza ed imperizia per non aver considerato gli esiti del tracciato cardiotocografico che palesava sofferenza fetale e che erano tali da imporre il parto cesareo, unico intervento che avrebbe evitato il protrarsi della sofferenza fetale.

La vicenda giudiziaria

La Corte d’Appello di Roma dichiarava estinto per prescrizione il reato di lesioni colpose gravi ascritto ai due Medici a danno della neonata e confermava le statuizioni civili, anche nei confronti del responsabile civile ASL Roma 3.

La Corte di appello dava atto della prescrizione del reato e l’illecito aquiliano, ovverosia analizzava se la condotta dei Medici avesse cagionato un danno ingiusto risarcibile, sulla base non dei principi di causalità penalistica, ma secondo il giudizio (civilistico) del “più probabile che non”.

Decideva, conclusivamente, per la certa riconducibilità delle lesioni occorse alla neonata, a causa della sofferenza fetale, all’operato imprudente ed imperito dei Medici e confermava la condanna degli imputati e del responsabile civile al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civile costituite.
Il responsabile civile, ASL Roma 3, propone ricorso in Cassazione.

Il Giudizio della Suprema Corte (Cassazione penale, sez. IV, dep. 10/01/2024, n.938)

La ASL lamenta vizio di mancanza assoluta di motivazione con particolare riferimento alla invocata applicabilità della causa di non punibilità di cui alla L. n. 189/2012 o, comunque, ai sensi dell’art. 590 sexies, comma 2, c.p.

Secondo la tesi dell’ASL, la Corte territoriale, affermando di condurre il giudizio squisitamente secondo canoni civilistici, avrebbe comunque condotto la propria indagine sulla sussistenza del nesso causale, omettendo del tutto di indagare circa l’elemento soggettivo della colpevolezza, necessario anche ai fini del giudizio secondo i canoni civilistici.

Ed ancora, i Giudici di merito non avrebbero considerato che le conclusioni del Periti erano nel senso di una responsabilità per colpa, non qualificata come grave, per imperizia, il che avrebbe permesso l’applicazione della causa di non punibilità.

Le doglianze non colgono nel segno.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe esplorato solo il tema della causalità, omettendo di rispondere ai motivi di gravame articolati sul profilo della colpa, che comunque è connotato indispensabile anche della responsabilità civile, definendo del tutto apoditticamente come grave la colpa dei sanitari, senza ancorare detto giudizio a dati concretamente emersi nel giudizio.

Non si può escludere la configurabilità dell’illecito

Ebbene, la qualificazione come “grave” della colpa professionale impedisce, sia nel processo civile, che in quello penale, di escludere la configurabilità dell’illecito.

Sia la Legge Balduzzi che il regime introdotto dalla Legge Gelli­Bianco predicano che è necessario, per escludere la responsabilità, che il Medico abbia rispettato le linee guida adeguate al caso di specie e che, ciononostante, sia incorso in colpa (legge Balduzzi), ovvero in sola imperizia (legge Gelli-Bianco), da qualificarsi in entrambi i casi come non grave.

Ciò significa che è del tutto irrilevante l’individuazione di quale dei due regimi risulti in astratto più favorevole (e applicabile) agli imputati. È corretta la qualificazione della condotta colposa in termini di sicura gravità, pronunciata dai Giudici di merito.

La gravità della condotta consente di addivenire anche in termini civilistici ad un giudizio di responsabilità colposa, con i conseguenti effetti in termini di obbligazione risarcitoria, non potendo discorrersi di art. 2236 c.c. che è applicabile alle sole ipotesi di problemi tecnici di particolare difficoltà e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza.

I Giudici di merito hanno correttamente argomentato sulla imperdonabile imprudenza dei due Medici dovuta al ritardo nella esecuzione dell’intervento di parto cesareo.

Sia il Consulente del PM che il collegio peritale e, soprattutto, lo stesso Consulente della difesa hanno concordato sulla circostanza che alle ore 6.25 il tracciato tococardiografico della neonata era “francamente patologico” ed imponeva di far nascere al più presto la bimba, nata invece solo alle 7.43.

Tutti i Consulenti hanno ritenuto come dalle ore 6.25 alle ore 7.00 vi fosse stata una inerzia non giustificabile; se la sala operatoria fosse stata allestita per il parto cesareo dopo le 6.25 la bimba sarebbe nata alle ore 7.15 e non alle 7.43, sarebbe stata sottratta a mezz’ora di ipossia e sarebbe stata evitata altresì la trazione finale del funicolo con definitiva e grave occlusione vasale fino a generare anossia.

Pertanto, le considerazioni svolte, contrariamente a quanto sostenuto dalla ASL, sono pienamente ancorate e sorrette dalle risultanze processuali puntualmente riportate e citate dai Giudici della Corte territoriale.

Avv. Emanuela Foligno

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