Paralisi cerebrale infantile e sofferenza fetale (Cassazione civile, sez. III, 15/06/2023, 15/06/2023, n.17240).

La prova della sofferenza fetale da fornire in caso di paralisi cerebrale conseguente al parto.

Viene citata davanti al Tribunale di Roma, la Casa di Cura e 2 Medici affinchè per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti dal minore a causa delle lesioni permanenti da lui patite in occasione del parto, per una sofferenza ipossico-ischemica che aveva dato luogo a paralisi cerebrale infantile.

Si costituirono in giudizio tutte le parti convenute, chiedendo il rigetto della domanda e sollecitando la chiamata in cause delle rispettive società di assicurazioni, le quali a loro volta si costituirono associandosi alle richieste dei convenuti.

Il Tribunale, dopo aver svolto le prove testimoniali ed aver espletato due diverse CTU, rigettava la domanda e compensava le spese di lite. Il rigetto della domanda veniva confermato anche dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 18 luglio 2013.

Impugnata la sentenza d’appello da parte degli attori, la Corte di Cassazione, con sentenza 4 aprile 2017, n. 8664, accoglieva il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, cassava la pronuncia di secondo grado e rinviava la causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione.

A seguito della cassazione, il giudizio è stato riassunto. La Corte d’appello ha quindi disposto una terza CTU e, con sentenza del 19 aprile 2022, ha rigettato il gravame e, dopo aver integralmente compensato le spese dei precedenti gradi di merito e del giudizio di cassazione, ha condannato gli appellanti alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio in favore di tutti gli appellati.

La Corte territoriale ha inquadrato i limiti del giudizio di rinvio alla luce della citata sentenza n. 8664 del 2017 della Cassazione. A questo proposito, ha rigettato le osservazioni degli appellanti secondo cui la pronuncia di cassazione aveva già accertato, con efficacia di giudicato, la sussistenza della responsabilità medica e il nesso causale. Dalla lettura di quella decisione, infatti, derivava che essa “aveva affermato l’erronea applicazione, da parte del giudice del merito, dei principi probatori della materia e del relativo onere a carico delle parti, con conseguente erronea motivazione”. In particolare, la Corte romana ha riportato nel corpo della motivazione ampi passaggi della suindicata sentenza n. 8664, concludendo nel senso che la cassazione era avvenuta sia per violazione di legge sia per vizio di motivazione, “nella parte in cui la Suprema Corte ha rilevato l’erronea valutazione di irrilevanza del mancato monitoraggio TCG nella fase del travaglio e l’erronea affermazione dell’assenza di una sicura prova di uno stato di sofferenza fetale, per l’inversione dell’onere della prova, attribuito impropriamente al danneggiato“.

Poiché nelle cause di responsabilità medica relative alla sofferenza fetale ciò che conta è la prova certa dell’esclusione della stessa, prova che è carico della parte convenuta, entro tali limiti doveva essere fissato il perimetro del giudizio di rinvio, gravando a carico del debitore (medico o struttura) l’ignoranza della causa del danno e tenendo conto del fatto che “la Cassazione ha stabilito che il danneggiato ha assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante”.

Alla luce di siffatta ricostruzione, la Corte d’appello ha rigettato la domanda degli appellanti di revoca del provvedimento dispositivo di una nuova consulenza tecnica. La sentenza è passata a riportare ampie parti della C.T.U. che concludeva  nel senso che “il sig. M.M. è affetto da paralisi cerebrale infantile (PCI). Detta infermità non può ritenersi collegata al parto per cui non esistono postumi ad esso ascrivibili da valutare così come richiesto dal quesito che ci era stato formulato al conferimento dell’incarico……la patologia dalla quale è affetto M.M. è da ricondurre ad un evento lesivo verificatosi nel terzo trimestre di gravidanza e non nella fase perinatale”.

Tirando le fila della complessa attività istruttoria svolta, la Corte romana ha affermato che non vi era un riscontro, obiettivamente valutabile, che il parto fosse stato segnato da complicanze solo per il fatto che era mancato il tracciato cardiotocografico nell’ultimo periodo del travaglio, perché “in caso diverso ovvero di bradicardia severa o asfissia come ipotizzato dai C.T.P., ciò sarebbe immediatamente emerso alla nascita perché il neonato sarebbe stato sintomatico e sarebbe stato necessario un intervento attivo del personale presente in sala parto per il ripristino delle funzioni compromesse, questione mai adombrata in causa”. Ragione per cui, pur ammettendo la Corte che la C.T.U. genetica svolta in primo grado aveva considerato “come estremamente improbabile una causa diversa da un evento ipossico ischemico in epoca perinatale”, il Collegio CTU nominato nel giudizio di rinvio forniva “una diversa interpretazione che si avvale dei progressi scientifici della materia raggiunti nel ventennio che separa le due relazioni, anche sulla base di un approfondito esame delle RMN fatte dal bambino nei primi anni di vita“. Da tale consulenza risultava, infatti, che le risonanze magnetiche esaminate avevano mostrato “l’interessamento della sostanza bianca cerebrale, segno tipico della lesione da leucomalacia periventricolare, “riconducibile alla formazione in utero al terzo trimestre di gravidanza, mentre l’elemento cardine di riscontro dell’evento ischemico del periodo perinatale è la lesione della sostanza grigia cerebrale, non riscontrata nelle suddette risonanze”.

Ergo, la Corte territoriale in sede di rinvio, riteneva raggiunta la prova dell’esclusione della sofferenza fetale (e cioè dell’esistenza di una causa di inadempimento non imputabile al debitore) ; detta esclusione andava ad interrompere il nesso causale “tra l’interruzione del tracciato cardiotografico e/o l’attività posta in essere dal neonatologo dopo il parto e il danno da paralisi cerebrale in fantile da cui è affetto M.M.”, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

Anche questa seconda sentenza di appello viene impugnata in Cassazione.

In particolare, viene censurata la violazione dell’art. 2909 c.c. e dei principi e norme che disciplinano il giudicato e di cui alla sentenza n. 8664 del 2017, con conseguente nullità della pronuncia impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c. e dei principi e norme di cui alla citata sentenza, nonché la violazione e falsa applicazione dei principi e norme che disciplinano il giudizio di rinvio e impongono al giudice di rinvio di attenersi al principio di diritto e a quanto stabilito dalla Suprema Corte, precludendo allo stesso di riesaminare i presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, sulla base di fatti e profili non dedotti, con conseguente nullità della sentenza.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e dei principi e norme che precludono al giudice di rinvio di disporre CTU in ordine all’accertamento di fatti o profili non dedotti e che importano il riesame dei presupposti del principio di diritto statuito e dei fatti accertati dalla Cassazione con la sentenza che dispone il rinvio.

Nello specifico, con questa censura, viene ricordato che la Corte d’appello, con ordinanza del 6 ottobre 2021, a chiarimento del quesito posto ai consulenti, ha disposto illegittimamente il rinnovo della C.T.U. diretta ad accertare l’esistenza del nesso di causalità, respingendo la richiesta, già presentata dagli appellanti, di revoca del provvedimento di ammissione della nuova consulenza tecnica. Da tale violazione deriva, secondo i ricorrenti, l’erroneità dell’impugnata sentenza là dove ha posto a fondamento della decisione una serie di illegittimi accertamenti peritali, disposti in violazione dei limiti del giudizio di rinvio.

In sostanza, la tesi dei ricorrenti, su cui si basano tutti i motivi di ricorso, sarebbe che la sentenza di rinvio della Cassazione n. 8664 del 2017 avrebbe già accertato, in modo vincolante per il Giudice di rinvio, l’esistenza sia della responsabilità professionale dei Medici, sia del nesso di causalità con la PCI  che ha colpito il bambino.

Ragionando in tal senso, secondo i ricorrenti, vi sarebbe  la violazione delle norme sul giudicato e di quelle che fissano i limiti del giudizio di rinvio; e da tanto si dovrebbe trarre la conclusione che la Corte romana non avrebbe potuto disporre una nuova C.T.U., essendo il giudizio di rinvio un giudizio “chiuso” ed essendo stata la precedente sentenza di merito cassata esclusivamente per violazione di legge. Non residuava pertanto, secondo i ricorrenti, alcun margine per consentire ai sanitari convenuti di dimostrare che nessuna colpa professionale sussisteva a loro carico perché la malattia non era conseguenza di errori commessi nella fase finale del travaglio e del parto. Da tanto consegue che la Corte di merito non avrebbe dovuto fare altro che “applicare” i principi enunciati nella pronuncia di rinvio della cassazione.

Ebbene, la Suprema Corte evidenzia che la propria pronunzia di rinvio del 2017, ha sì evidenziato l’errore sul riparto dell’onere della prova, riconoscendo che gli attori avevano assolto l’onere gravante a loro carico, ma non ha affermato che fosse preclusa la dimostrazione della non imputabilità dell’inadempimento al debitore della prestazione sanitaria, ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Difatti, non vi è nella motivazione di quella pronuncia, alcuna affermazione ostativa in ordine all’eventuale prova contraria, da parte dei sanitari, sul fatto che l’evento dannoso fosse da ricondurre ad una causa a loro non imputabile.

In materia di responsabilità professionale medica è stato già affermato che emerge emerge “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle”. La  causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, rimane incerta la causa del danno o dell’impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto.

Facendo applicazione di tali principi, ai quali la pronunzia qui a commento da continuità,   appare evidente, alla luce dell’ulteriore C.T.U. disposta in sede di rinvio, che la prova della causa non imputabile al debitore è emersa in tutta la sua incontestabile chiarezza.

Il Giudice di rinvio, infatti, ha dato atto, alla luce dell’ultima C.T.U., dell’esclusione della sofferenza fetale e la necessità di collegare la paralisi cerebrale infantile ad una patologia insorta nel terzo trimestre di gravidanza e non nella fase del parto. Ciò significa che i sanitari convenuti  hanno positivamente dimostrato l’esistenza di una causa imprevedibile ed inevitabile che ha reso oggettivamente non a loro imputabile la responsabilità dell’evento.

Il ricorso viene integralmente rigettato.

OSSERVAZIONI

La decisione qui a commento non si presenta semplice, tenuto anche conto della complessa vicenda processuale.

Quanto la Suprema Corte cassa una sentenza con rinvio alla Corte territoriale, per violazione di legge, viene sempre chiesto un nuovo esame della controversia. Ergo,  la Corte d’appello di Roma non poteva limitarsi ad applicare principi di diritto (peraltro non enunciati). Ne consegue che appare del tutto lecita e corretta la disposizione di nuova CTU.

Interessante, infine, quanto evidenziato dalla Suprema Corte riguardo la contestazione della CTU. Secondo i ricorrenti, le conclusioni della CTU svolta in primo grado, non sarebbero state contestate neppure in appello da parte della Struttura e dei Sanitari, di talchè ne deriverebbe la intangibilità.

Così non è in quanto la consulenza d’ufficio è uno strumento di ausilio che il Giudice dispone per argomenti che esulano dalle sue competenze. Le conclusioni dei consulenti non possono essere assimilabili a elementi intangibili, come se si discorresse del passaggio in giudicato di un capo della sentenza, per la semplice (e ovvia ) ragione che il Consulente d’Ufficio non ha potere decisorio.

Avv. Emanuela Foligno

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