Non provato il nesso causale tra l’assenza di protezioni e il decesso dell’automobilista, compatibile con un malore precedente l’uscita di strada
Con la sentenza n. 29012/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso degli eredi di una donna che chiedevano l’accertamento della responsabilità della Provincia per il decesso della propria congiunta avvenuto a causa dell’uscita di strada dell’automezzo dalla stessa condotto in un punto della strada provinciale in cui non vi era un guard-rail.
Nel corso del giudizio erano state acquisite due CTU, una medico-legale e l’altra sulla dinamica del sinistro, al fine di verificare le cause del medesimo le quali avevano concluso per la compatibilità del decesso con il gravissimo politrauma subìto in conseguenza dell’uscita di strada.
Il Tribunale adito aveva accolto parzialmente le domande degli attori, ritenendo la sussistenza del concorso di colpa della danneggiata nella misura dell’80%, e aveva liquidato i danni nella misura di € 49.293,56 per ciascuna in favore delle figlie e di € 4.800 ciascuno in favore dei nipoti, condannando la Provincia convenuta alle spese del grado.
La Corte territoriale aveva accolto l’appello incidentale della Provincia, ritenendo mancare la prova del nesso causale tra l’uscita di strada del veicolo condotto dalla defunta ed il decesso della medesima, in presenza di elementi desumibili dalla C.T.U. medico-legale compatibili con il decesso avvenuto per un malore prima che la donna uscisse di strada. La Corte territoriale aveva ritenuto che, in ogni caso, sia che si volesse far valere la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. sia che si invocasse quella ex art. 2051 c.c., gli attori sarebbero stati onerati della prova del nesso causale tra l’uscita di strada del veicolo ed il decesso, prova che non era stata raggiunta, in mancanza di segni di frenata o di altri elementi che potessero far ritenere posta in essere una manovra di emergenza con la conseguente estrema verosimiglianza di una perdita di conoscenza qualche istante prima dell’uscita di strada secondo quanto accertato dal CTU.
In questa prospettiva, secondo la Corte territoriale, anche ove fosse stato presente un guard-rail, non avrebbe potuto dirsi scongiurato il rischio della morte per il sopravvenire di altre cause.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, i ricorrenti deducevano “la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2043 c.c.: per quanto riguarda il nesso causale i danneggiati – a loro avviso – avevano l’onere di dimostrare il solo fatto che il decesso della signora era una conseguenza altamente probabile e verosimile della caduta in una scarpata di 80 metri”. Gli eredi censuravano la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova del nesso causale tra l’assenza di guard rail ed il decesso, apprezzamento con il quale la Corte d’Appello avrebbe violato il criterio della causalità adeguata o del “più probabile che non”.
Dagli elementi acquisiti agli atti avrebbe dovuto ritenersi che il precipitare da una altezza di 75 metri aveva, con elevata probabilità e verosimiglianza, determinato il decesso della vittima, sicché ai sensi dell’art. 2043 c.c., il nesso causale avrebbe dovuto ritenersi sussistente essendo il danno conseguenza altamente probabile e verosimile della condotta illecita.
Con il secondo motivo di ricorso i congiunti deducevano “la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2051 c.c.: per quanto riguarda il nesso causale gli odierni ricorrenti avevano l’onere di dimostrare il solo fatto che il decesso della donna era conseguenza normale della pericolosità della strada”.
Ad avviso dei ricorrenti la sentenza sarebbe censurabile anche per non aver fatto corretta applicazione dell’art. 2051 c.c. in quanto, sussistendo la presunzione di responsabilità in capo al custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. e non avendo la Provincia dato la prova del fortuito, il nesso causale avrebbe dovuto ritenersi provato in mancanza di cautele messe in atto dalla Provincia atte a rendere sicura la percorrenza dei veicoli sulla strada. Una volta provata la pericolosità della strada e la responsabilità della Provincia per aver omesso di installare barriere protettive, la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che il decesso si era prodotto quale conseguenza normale della fuoriuscita dalla strada.
Gli Ermellini hanno ritenuto le doglianze proposte inammissibili.
Non si deducevano, infatti, vizi di sussunzione (come tali riconducibili alla nozione della falsa applicazione di norme di diritto), cioè non si sosteneva che la ricostruzione della vicenda in fatto per come effettuata dalla corte territoriale, sarebbe stata mal sussunta sotto le norme di cui si indicava la violazione nella intestazione dei due motivi. Per dedurre un vizio di sussunzione i ricorrenti avrebbero dovuto assumere il fatto così come ricostruito dalla corte e dimostrare che esso a torto non era stato riconosciuto riconducibile alla nozione in iure dell’esistenza del nesso causale, rispettivamente in àmbito di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. e in àmbito di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Invece, i ricorrenti, non solo non evocavano nemmeno le norme sul nesso causale, ma soprattutto non spiegavano perché il nesso causale, sulla base della quaestio facti per come ricostruita dalla corte territoriale, sarebbe stato sussistente ed in particolare non sostenevano che ciò che aveva indotto la corte a negare l’esistenza del nesso causale – cioè che non fosse provato da che cosa la morte della de cuius fosse stata provocata ed in particolare che non fosse provato che prima di uscire di strada e precipitare a causa della mancanza del guard-rail la de cuius fosse in vita e dunque fosse morta a causa delle conseguenze del detto precipitare – in realtà, considerato per come l’aveva ritenuto la corte territoriale, dovesse necessariamente sussumersi sotto la regole del nesso causale.
I ricorrenti avrebbero dovuto sostenere che, sulla base del fatto ricostruito come l’aveva ricostruito la corte territoriale, si sarebbe dovuto ritenere che la de cuius era viva. Quando evocavano il “più probabile che non” non lo facevano dimostrando che in base a quanto valutato dalla corte e per come essa lo aveva assunto si sarebbe dovuto ritenere provato che la de cuius era in vita al momento del fatale precipitare.
La redazione giuridica
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