Con ordinanza del 30.09.2016, n. 19354, la Corte di Cassazione è finalmente intervenuta a riportare un briciolo di razionalità e buon senso nella materia relativa alle condizioni di proponibilità di una domanda giudiziale diretta a ottenere il risarcimento del danno patito in occasione di un sinistro stradale.

Come noto, il decreto legislativo n. 209/2005 (Nuovo Codice delle Assicurazioni) prevede, agli artt. 145 e ss., che il danneggiato debba inoltrare alla compagnia di assicurazione tenuta al risarcimento una diffida formale di messa in mora contenente un elenco tassativo di informazioni. Trattasi di dai ritenuti dal legislatore necessari al fine di una adeguata, compiuta e consapevole trattazione del caso.

L’inoltro delle suddette informazioni – nella comunicazione inviata dalla vittima di un incidente ai sensi per gli effetti delle richiamate norme – è di fondamentale importanza, giacché la sua omissione può condurre, in sede processuale, a una sentenza di improponibilità della domanda resa dal giudice in limine litis (prima ancora, cioè, di entrare nel merito della vicenda trattata).

È purtroppo invalsa la strategia, nei giudizi civili – da parte delle compagnie di assicurazione – di sollevare strumentali eccezioni di improponibilità ogniqualvolta la lettera di messa in mora spedita dal danneggiato sia carente di uno qualsivoglia dei succitati elementi. E ciò anche quando detto fattore non si appalesi  – con tutta evidenza – come necessario per l’esercizio dell’attività istruttoria dell’impresa fatta oggetto delle richiesta.

Nel caso affrontato dalla Corte con l’ordinanza in commento, la compagnia aveva eccepito l’improponibilità dell’azione deducendo che la lettera di intervento – a monte del successivo incardinato processo – fosse lacunosa  in quanto priva della dichiarazione di cui all’art. 142 del nuovo codice delle assicurazioni. Tale norma prescrive che  il danneggiato riferisca – nella missiva inviata ai sensi degli artt. 148 o 149 NCA – se egli abbia, o meno, diritto a prestazioni da parte di enti assistenziali.

Orbene, nel giudizio terminato con la sentenza de quo (resa dal tribunale di Savona) era stata accolta l’eccezione della compagnia proprio in ragione della rilevata mancanza (nella lettera di intervento) della dichiarazione di cui al suddetto art. 142.

Tuttavia, la parte soccombente è ricorsa alla giurisdizione di legittimità lamentando la natura sofistica e speciosa dell’eccezione sollevata dalla parte convenuta e poi condivisa dal tribunale.

Gli ermellini hanno accolto in pieno il ricorso affermando un principio di straordinaria importanza, spesso purtroppo colpevolmente trascurato dalla giurisprudenza di merito. Ci riferiamo alla affermazione secondo cui “nessuna nullità o invalidità è predicabile quando l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo”.

Infatti, lo spirito del dettato normativo di cui al combinato disposto degli artt. 145 e  148 del nuovo codice delle assicurazioni è quello di consentire una completa discovery dei dati utili alla valutazione della responsabilità e all’accertamento del danno.

Di talché – laddove la lettera di intervento spedita in ossequio a quanto previsto dall’art. 145 non contenga taluno degli elementi ivi previsti e, nondimeno, l’elemento omesso non pregiudichi in alcun  modo la possibilità per l’interlocutore  di avere piena contezza dei termini  oggetto del contendere – non è possibile  (perché contrario alla logica e al buon senso prima ancora che al diritto) respingere una legittima domanda risarcitoria con una pronuncia di improponibilità. Essa sarebbe, date le premesse, totalmente destituita di fondamento.

Con precipuo riferimento, poi, all’art. 142, la Corte ha rettamente sottolineato che l’eventuale carente enunciazione – da parte del danneggiato – del di lui diritto a prebende da parte degli enti sociali non pregiudica in alcun modo la possibilità per l’assicuratore di adempiere ai propri obblighi: “Se, infatti, il terzo danneggiato (…) omette di dichiararlo (…) l’unica conseguenza di tale omissione è che quest’ultimo non potrà essere esposto all’azione di surrogazione dell’assicuratore sociale, mentre il danneggiato risponderà nei confronti dell’ente gestore dell’assicurazione sociale del pregiudizio al suo diritto di surrogazione”.

Pertanto, la circostanza che la richiesta stragiudiziale fosse priva di uno o più dei contenuti richiesti dall’art. 148 è “irrilevante ai fini della proponibilità della domanda” quando gli elementi mancanti “erano superflui ai fini della formulazione dell’offerta risarcitoria da parte dell’assicurazione”.

Ci sentiamo, pertanto, di accogliere con sollievo la parte conclusiva della pronuncia in oggetto laddove l’estensore esprime, con icastica sintesi, un comandamento che dovrebbe essere sottoscritto da tutti gli operatori del settore: proprio in quanto “la richiesta stragiudiziale di risarcimento ha lo scopo di favorire le conciliazioni stragiudiziali”, essa “vieta l’adozione di interpretazioni che favorirebbero capziosità e cavillosità”.

Avv. Francesco Carraro

(Foro di Padova)

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