Risponde del reato di fuga colui che rifiuti consapevolmente di accertare la concreta attualità che dall’incidente siano derivati danni alle persone, accettandone per ciò stesso l’esistenza

Ai sensi dell’art. 189 codice della strada, comma 1 “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”. 

“Chiunque,(…), in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni”.

Di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “in tema di circolazione stradale, l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 189 C.d.S., comma 6 (punito solo a titolo di dolo) ricorre quando l’utente della strada, al verificarsi di un incidente – idoneo a recare danno alle persone e riconducibile al proprio comportamento – ometta di fermarsi per prestare eventuale soccorso, non essendo necessario per contro che il soggetto agente abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima”.

Quanto all’elemento psicologico, ai fini della configurabilità del reato di “fuga”, pur essendo richiesto il dolo, “la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso; essa può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza”.

La vicenda

La Corte di Appello di Ancona aveva condannato alla pena di anni uno e giorni dieci di reclusione un uomo, accusato del reato di fuga cui all’art. 189 codice della strada.

Secondo la ricostruzione della dinamica criminosa, l’imputato, alla guida della sua autovettura, non si era fermato al segnale di stop, allorquando andava ad impattare contro la parte posteriore laterale sinistra dell’auto Audi A3 che ruotava di 180 gradi, sbattendo contro il marciapiede.

A seguito dell’urto il passeggero che viaggiava come trasportato nel sedile posteriore, riportava lesioni personali. Ciononostante, dopo il sinistro l’imputato riprendeva la sua marcia in senso vietato dandosi alla fuga e omettendo quindi, di fermarsi e prestare soccorso.

Quest’ultimo si era discolpato sostenendo che l’obbligo di prestare assistenza sussiste solo in presenza di ferite mentre nel caso di specie la persona rimasta lesa non aveva lesioni percepibili nè visibili ed inoltre,  affermava che il reato di mancata assistenza dopo un investimento esige un dolo meramente generico ravvisabile in capo all’utente della strada che in base al suo comportamento percepisce la concreta attualità che dall’incidente siano derivati danni alle persone.

Ma è proprio così?

I giudici della Suprema Corte di Cassazione chiamati a pronunciarsi sulla vicenda hanno affermato che “nel reato di fuga previsto dall’art. 189 C.d.S., comma 6, l’accertamento dell’elemento psicologico va compiuto in relazione al momento in cui l’agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e percepite a quel momento, che siano univocamente indicative di un incidente ricollegabile al proprio comportamento ed idoneo ad arrecare danno alle persone, dovendo riservare ad un successivo momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro”.

È stato anche chiarito che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire nè l’identificazione del conducente, nè quella del veicolo, nè lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica.

Ebbene nel caso in esame era evidente che: a) l’imputato avesse percepito l’incidente; b) fosse consapevole di averlo cagionato col suo comportamento, concretamente idoneo a produrre eventi lesivi.

Ricorreva, pertanto, l’elemento psicologico quantomeno nella forma del dolo eventuale attestato dal rifiuto, per effetto del suo allontanamento, di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali la condotta costituiva reato.

La sentenza impugnata è stata perciò confermata e condannato l’imputato in via definitiva.

La redazione giuridica

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