Frattura del femore sinistro provoca il progressivo declino psico-fisico del paziente a causa di negligenze nella fase post operatoria (Tribunale Latina sez. II, dep. 01/03/2022, n.417).

Frattura del femore sinistro, a seguito di caduta accidentale, trattata con intervento chirurgico, provoca alla paziente un progressivo declino delle condizioni psico-fisiche.

Con atto di citazione viene, pertanto, convenuta in giudizio l’AUSL di Latina affinché, accertata la responsabilità dei sanitari, venisse condannata al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

A seguito di una caduta accidentale, la donna veniva trasportata al Pronto Soccorso, dove accedeva in buono stato clinico e le veniva diagnosticata frattura del femore sinistro. Ne veniva disposto il trasferimento presso l’Ospedale di Latina per l’intervento chirurgico. Durante la degenza la paziente avvertiva dolori e crampi addominali, trattati con clistere. A seguito delle dimissioni, era prescritta terapia riabilitativa per il mantenimento della posizione eretta. A seguito dell’impossibilità di continuare la terapia riabilitativa e nel riacutizzarsi dei sintomi addominali, era nuovamente ricoverata presso il Pronto Soccorso ove, a seguito degli accertamenti di urgenza era diagnosticato “addome acuto occlusivo” e trattata con intervento di ileostomia. Dopo le dimissioni era intrapreso un percorso di assistenza domiciliare nel corso del quale si constatava un progressivo declino delle condizioni psicofisiche e permanente allettamento, con successivo intervento di colostomia con persistenza del disorientamento spazio-temporale perdurato ed aggravatosi sino al decesso intervenuto nelle more del giudizio.

La domanda viene ritenuta parzialmente fondata.

Essendo i fatti oggetto di causa risalenti all’anno 2015, ossia in data anteriore all’entrata in vigore della legge Gelli – Bianco (1.4.2017), non puo’ essere applicata tale ultima normativa. Ergo, vengono applicate le regole che qualificano a titolo di responsabilità contrattuale sia la responsabilità della struttura sanitaria, sia quella dell’esercente la professione sanitaria.

In tale ottica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto (fondato sul contatto sociale) ed allegare l’inadempimento del medico, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento.

In altri termini, nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l’esistenza di una inadempienza astrattamente efficiente alla produzione del danno, di talché, solo quando lo sforzo probatorio dell’attore consenta di ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l’onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno.

Con riferimento, poi, al profilo concernente l’accertamento del nesso causale tra condotta del medico o della struttura sanitaria ed evento dannoso, la relativa valutazione in campo civile è basata sulla regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”.

Cio’ posto, dalla CTU è emersa una condotta colposa dei Sanitari.

In particolare, il CTU ha accertato un intempestivo intervento dei sanitari con riferimento alla condizione di sofferenza addominale, nel corso del ricovero per la frattura del femore.

E difatti, si legge nell’elaborato “la paziente ricoverata per frattura del femore sinistro, fu sottoposta ad intervento di riduzione e sintesi della frattura con chiodo gamma. Nel successivo decorso post operatorio, furono segnalati stipsi ed addome globoso con meteorismo per cui furono eseguiti un clistere evacuativo senza successo, e venne posizionata una sonda rettale e successivamente dimessa il giorno 8.4.2015. In data 13.4.2015 fu ricoverata d’urgenza per “addome acuto occlusivo” e venne trasferita presso il reparto di chirurgia generale ove, lo stesso giorno, fu eseguito un intervento chirurgico così descritto: “… All’apertura del peritoneo reperto di enorme distensione colica a rischio di rottura distensiva con dolico colon. Si esplora tutto il colon. Si reperta neoformazione della parete gastrica che viene escissa ed inviata per esame istologico. …Si procede quindi a resezione secondo Hartmann …… Nel corso dell’anno 2016 la paziente fu più volte ricoverata per trattamento di sepsi e interventi di stenosi di colostomia, successivamente ampliata.”

Il punto nodale dell’analisi peritale riguarda la gestione del post operatorio successivamente all’intervento di osteosintesi della frattura del femore, con chiodo gamma, scelta condivisibile in relazione allo stato clinico della paziente. Ricostruisce il CTU il decorso post operatorio “caratterizzato dalla comparsa di una stipsi cronica non risolta con il clistere evacuativo (4-4) né, apparentemente, dal posizionamento della sonda rettale (5-4) per facilitare lo svuotamento. Ciò nonostante la donna venne dimessa per poi rientrare in ospedale il 13-4 proprio per l’aggravarsi del quadro clinico addominale. La descrizione dell’intervento chirurgico eseguito presso l’Ospedale di Latina lo stesso giorno (13-4), documenta la causa di questa condizione clinica essendo stata rilevata, alla riapertura dell’addome, una enorme distensione colica a rischio di rottura distensiva con dolico colon; la diagnosi posta fu perentoria, si trattava di un addome acuto occlusivo” motivo per il quale era sottoposta ad ileostomia.”

Ed ancora, il CTU riconosce che la paziente, a seguito dell’intervento chirurgico ortopedico di riduzione della frattura al femore, sia incorsa in “un’occlusione intestinale su base funzionale che, clinicamente, determinava una stipsi ostinata con graduale comparsa di alvo meteorico e dolente. A fronte di questa sintomatologia fu effettuato un clistere (senza esito) e fu applicata una sonda rettale (di cui non sappiamo l’esito). Ciò nondimeno, a fronte di un quadro che non risulta essere stato risolto, i sanitari del reparto di chirurgia non ritennero opportuno richiedere una consulenza gastroenterologica né sottoporre la paziente ad ulteriori accertamenti per chiarire l’origine di tale sintomatologia, ma, anzi, la donna fu dimessa senza una apparente risoluzione del quadro clinico. L’imprudenza dei sanitari è confermata dal fatto che, qualche giorno dopo la dimissione, la donna ritornò in ospedale proprio a causa dell’aggravamento del quadro addominale”.

In conclusione, il Tribunale di Latina, a) accerta la responsabilità dell’AUSL di Latina nella causazione delle lesioni per cui è causa, e la condanna al pagamento della somma di Euro 154.937,97.

Avv. Emanuela Foligno

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