Aggravamento neoformazione alla mammella destra (Cassazione penale, sez. IV, dep. 06/10/2023, n.40723).

La Corte di Appello di Bologna riformava la decisione di primo grado che condannava il Senologo alla pena di mesi tre di reclusione per il delitto di cui all’art. 590 c.p., dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti  per essere il reato estinto per prescrizione. Confermava, tuttavia, le statuizioni civili della sentenza di primo grado con le quali era stato condannato al risarcimento dei danni in favore del marito della persona offesa (unico costituitosi parte civile).

I Giudici di merito hanno ritenuto accertati i fatti oggetto di imputazione, ovverosia che il Senologo abbia cagionato alla paziente lesioni personali, consistite nell’aggravamento neoformazione solida alla mammella destra la cui esistenza era stata accertata, a seguito di ecografia. Più in particolare, il Medico avrebbe determinato l’aggravamento della patologia tumorale dalla quale la paziente è risultata affetta perché, il 19 giugno 2008, all’esito di una visita senologica, pur in presenza di un quadro ecografico dubbio per neoplasia, programmò l’asportazione del nodulo in regime di routine e senza urgenza, cosi ritardando l’accertamento e la cura della malattia. L’intervento di asportazione (mastectomia totale) rivelò la natura maligna della neoformazione e l’interessamento dei linfonodi ascellari.

Il Medico propone ricorso per Cassazione sostenendo che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica – che possono anche mancare – bensì solo quelle da cui derivi una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso, ovvero la compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. Pertanto, non ogni alterazione anatomica costituisce malattia in senso penalistico ed è tale soltanto il processo patologico che si manifesta con una apprezzabile menomazione funzionale dell’organismo. Ergo,  il ritardo diagnostico del quale l’imputato è stato ritenuto responsabile, non determinò una malattia e, dunque, non causò una “lesione personale” rilevante ai sensi dell’art. 590 c.p.

Con la seconda doglianza viene lamentato il travisamento delle prove scientifiche. Secondo la tesi del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe ritenuto provata una lesione personale sostenendo che il ritardo diagnostico rese inevitabile l’asportazione totale della mammella e dei linfonodi ascellari, e lo avrebbe fatto aderendo acriticamente alle conclusioni dei Consulenti della parte civile senza spiegare perché queste conclusioni dovessero essere preferite a quelle degli altri Consulenti secondo i quali,  in ragione delle caratteristiche del tumore, sarebbe stato in ogni caso consigliabile un intervento di mastectomia totale.

Le doglianze non sono fondate.

La corte di Cassazione dà atto che la motivazione della sentenza impugnata è carente quando sostiene che “a causa del ritardo diagnostico, la persona offesa subì “una mutilazione chirurgica (…) di gran lunga superiore a quanto sarebbe stato necessario qualora la diagnosi fosse stata formulata (…) prima della pausa estiva attraverso una biopsia escissionale del nodulo“.

Ebbene, così motivando, i Giudici di appello non hanno spiegato perché tali argomentazioni dovessero ritenersi più attendibili e più convincenti di quelle formulate da tutti gli altri Consulenti, secondo i quali, in ragione delle caratteristiche del tumore e della giovane età della paziente, un intervento di mastectomia totale sarebbe stato in ogni caso consigliabile. La scelta del Giudice di merito, costituisce come noto un giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità ma, della scelta della tesi maggiormente condivisibile tra quelle prospettate dai Consulenti la sentenza deve darne conto con motivazione accurata e approfondita.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto che il ritardo diagnostico abbia causato una lesione rilevante ai sensi dell’art. 590 c.p. non soltanto perché rese necessaria la mastectomia totale eseguita il 28 ottobre 2008, ma anche perché determinò un significativo aggravamento della neoformazione mammaria. La sentenza impugnata sostiene dunque che, se pure non vi fu tra giugno e ottobre un significativo cambiamento nella stadiazione del tumore, tuttavia, vi fu una crescita del volume del nodulo neoplasico e tale aumento dimensionale costituisce un aggravamento della malattia penalmente rilevante ai sensi dell’art. 590 c.p..

Dalla lettura delle sentenze di primo e secondo grado emerge che l’aggravamento dimensionale del nodulo è stato documentalmente accertato in giudizio. L’ecografia eseguita aveva rilevato l’esistenza di una “grossolana formazione solida a profili polilobulati tra i quadranti esterni” indicandone la misura in 3,5×2,8 cm. e da referto istologico del 13 ottobre 2008 risulta che la formazione asportata il precedente 10 ottobre era costituita da due noduli – oppure (il dato non è chiarito) da un unico modulo frammentato in due le cui dimensioni erano rispettivamente 4,5x4x2,5 cm e 3,5x2x1 cm. La sentenza di primo grado sottolinea che una così rilevante differenza dimensionale non è spiegabile con la diversità delle tecniche di misurazione e che tale differenza è “del tutto compatibile con l’elevatissimo indice di accrescimento delle neoplasie mammarie” rilevabile in una donna di 35 anni.

Ciò posto, l’indirizzo giurisprudenziale richiamato dai ricorrenti sulla nozione di “malattia” non esclude che l’aggravamento di una malattia possa essere, esso stesso, una malattia penalmente rilevante e non solo in relazione al maggior tempo necessario per determinare la guarigione o la stabilizzazione del processo patologico.  Ma se il nodulo è una malattia, allora l’aumento delle sue dimensioni, anche se inidoneo a determinare un cambiamento del livello di stadiazione del tumore, di quella malattia costituisce un “aggravamento” e cagionare l’aggravamento equivale a cagionare la malattia.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata viene confermata.

Avv. Emanuela Foligno

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