Asportazione della tuba sinistra e danno differenziale (Cass. civ., sez. III,  28 giugno 2023, n. 18442).

Perdita della capacità riproduttiva della donna per l’asportazione della tuba sinistra.

La vicenda si presenta interessante poiché tratta la questione dell’esistenza di precedente menomazione del paziente; in tale caso –come noto- spetta il danno differenziale il cui calcolo deve essere fatto attraverso la sottrazione del valore monetario dell’invalidità complessiva inclusiva di menomazione preesistente e di quella causata dall’illecito, del valore monetario di quella preesistente all’illecito.

Operare il calcolo del risarcimento solo sulla differenza dei punti percentuali dell’invalidità, senza prima convertirli in somme di denaro, comporta una sottostima del danno da risarcire in violazione dell’art. 1223 c.c.”: tale principio di diritto, ormai, può dirsi pacifico.

La vicenda clinica: a seguito di complicanze derivate da un esame diagnostico la paziente subisce l’asportazione dell’unica tuba rimastale perdendo la capacità riproduttiva. Il Tribunale, accertata la responsabilità dei sanitari che avevano eseguito l’esame diagnostico, anche per assenza del consenso informato della paziente, ed applicando una maggiorazione al grado di invalidità accertata dal CTU (pari al 10%), equitativamente quantificava il danno sofferto nella misura del 22%, incrementando poi la somma liquidata a titolo di danno biologico del 10%, giungendo così a liquidare la somma di € 109.000,00, e calcolando in via equitativa la somma di € 50.000,00 in favore del coniuge.

Successivamente, l’importo liquidato veniva ridotto in appello, sul presupposto che la donna possedeva una parziale capacità riproduttiva. I Giudici di appello, ritenendo congrua la percentuale del 10% di danno riconosciuta dal CTU ricalcolavano il risarcimento attribuendo € 48.214,37 per la donna (a titolo di danno biologico, morale e da mancato consenso informato) ed € 20.000,00 per il marito a titolo di danno “riflesso”.

La coppia impugna la decisione in Cassazione lamentando la determinazione del danno nelle ipotesi di preesistenze.

Secondo la Suprema Corte, i Giudici di merito hanno errato facendo ricorso ad automatismi risarcitori.  Il risarcimento deve tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento e ciò in quanto il risarcimento del bene salute deve necessariamente tenere conto, degli aspetti personalistici che rendono necessariamente individuale e specifica la relativa quantificazione nel singolo caso concreto.

Su tali presupposti la Corte di Cassazione accoglie dunque il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di Appello per la quantificazione del danno secondo i criteri enunciati nella sentenza in commento. 

OSSERVAZIONI

Nella decisione a commento viene ribadito, qualora ve ne fosse bisogno, che la preesistenza, quale concausa coesistente o concorrente rispetto al maggior danno causato dall’illecito, assume rilievo sul piano della causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223 c.c.

Ergo, nel caso di lesioni coesistenti, l’invalidità permanente non deve essere ridotta: il danno va liquidato nella stessa misura di persona sana, Invece, nel caso di lesioni concorrenti il procedimento per la quantificazione del danno prevede quattro fasi:  1) la stima, in punti percentuali della invalidità permanente complessiva del danneggiato (quindi quella risultante dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito); 2) la stima in punti percentuali della invalidità permanente teoricamente preesistente all’illecito; 3) la valorizzazione monetaria della invalidità permanente complessiva; 4) la sottrazione dal valore monetario, dell’invalidità complessivamente accertata, di quello corrispondente al grado di invalidità preesistente.

Adottando tali criteri non vi sarà violazione dei criteri di progressività e il ristoro avverrà nel rispetto del principio di integralità di cui all’art. 1223 c.c.

In altri termini, la Suprema Corte ribadisce che oggetto del danno risarcibile siano le funzioni vitali perdute e non il grado di invalidità, il quale rappresenta solo la misura convenzionale del danno, ma non si confonde con esso, in coerenza con la nozione di danno biologico adottata dal legislatore negli art. 138 e 139 del codice delle assicurazioni. Il tutto, fermo e impregiudicato, il potere equitativo del Giudice.

Avv. Emanuela Foligno

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