La Suprema Corte torna a decidere sull’assegno sociale e la non rilevanza dello stato di bisogno del soggetto (Cass. civ., sez. Lav., 1 dicembre 2023, n. 33513).

La Corte d’Appello di Campobasso accoglieva il gravame proposto dall’Inps, avverso la sentenza del tribunale di Campobasso che accoglieva la domanda volta al riconoscimento del diritto all’assegno sociale, dopo che l’Inps aveva rigettato la relativa domanda amministrativa presentata il 22.11.18, per difetto dello stato di bisogno.

Nello specifico, il Tribunale riteneva fondata la domanda, evidenziando che alla dichiarazione di sufficienza economica presentata dal ricorrente in sede di separazione consensuale, certamente idonea a fondare una presunzione di sufficienza dei mezzi, si accompagnava nel caso di specie, oltre allo stato di insufficienza reddituale (non contestata dall’Inps in sede di appello, cfr. p. 4 della sentenza impugnata), anche la prova della incapienza economico-patrimoniale del coniuge che sarebbe stato tenuto al mantenimento.

La Corte d’Appello, in accoglimento del gravame dell’Inps, ha rilevato, da un lato, la dichiarazione di indipendenza economica presentata dall’uomo in sede di separazione consensuale, con rinuncia all’assegno di mantenimento a carico del coniuge, e dall’altra, la natura sussidiaria dell’istituto dell’assegno sociale che, imponendo di considerare tutti i tipi di reddito, consente di attribuire la relativa prestazione assistenziale solo a favore di soggetti che versino in un effettivo stato di bisogno, dovendosi escludere che tale prestazione possa essere riconosciuta in presenza di entrate patrimoniali, attuali o in concreto possibili, che escludano l’esistenza della predetta situazione di bisogno. Secondo i Giudici di Appello non era stata fornita la prova della condizione di incapienza patrimoniale dell’ex coniuge, tale da non consentire l’erogazione di un assegno, sia pur minimo.

La decisione viene impugnata in Cassazione.

Il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente e aprioristicamente escluso lo stato di bisogno solo perché lo stesso aveva rinunciato all’assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, ma con ciò introducendo, di fatto, un requisito preclusivo al riconoscimento dell’assegno sociale non contemplato dalla previsione normativa.

Il motivo è fondato.

 “Il diritto alla corresponsione dell’assegno sociale L. n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 6, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dall’assenza di redditi o dall’insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di autosufficienza economica o redditi potenziali, quali quelli derivanti dall’assegno di mantenimento che il titolare abbia omesso di richiedere al coniuge separato, e senza che tale mancata richiesta possa essere equiparata all’assenza di uno stato di bisogno”.

Pertanto, non essendo rilevante che lo stato di bisogno sia incolpevole, la condizione legittimante per l’accesso alla prestazione previdenziale, rileva nella sua mera oggettività e tale conclusione s’impone, in ragione del fatto che il sistema di sicurezza sociale delineato dalla Costituzione non consente di ritenere in via generale che l’intervento pubblico in favore dei bisognosi abbia carattere sussidiario, ossia che possa avere luogo solo nel caso in cui manchino obbligati al mantenimento e/o agli alimenti in grado di provvedervi.

In accoglimento del ricorso, la sentenza viene cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Campobasso, in differente composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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