Manovra di retromarcia dell’autoveicolo e ferimento del passante (Corte Appello Catanzaro, Sentenza n. 1333/2023 pubblicata il 28/11/2023).

La danneggiata adiva il Tribunale di Catanzaro per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito di un sinistro stradale occorso in data 22 novembre 2010.

A fondamento delle proprie ragioni, l’attrice, deduceva che in data 22.11.2010 verso le ore 12:00 circa, nel mentre percorreva a piedi un tratto di strada, sul margine destro, veniva scaraventata a terra dall’autovettura Renault Clio che, nell’effettuare manovra di retromarcia non si avvedeva della sua presenza.

Per effetto dell’impatto veniva diagnosticato “metameri in asse, raddrizzata la fisiologia lordosi per contrattura algica; spondilo artrosi con appuntimento osteofitario degli spigoli somatici – non fratture, un’incline facilità alla lesione”. A causa del persistere del dolore al piede sinistro, in data 01 dicembre 2010, veniva accompagnata presso il pronto soccorso dell’Azienda Ospedaliera ove riscontravano “fratture IV e V falange del piede sx; contusione escoriata gamba sx”.

La compagnia assicurativa erogava, ante causa, alla donna  la somma di Euro 5.100,00 comprensiva di Euro 600,00 per spese e competenze legali; tale somma non veniva considerata soddisfacente. Il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda con compensazione delle spese di lite e di CTU. Nello specifico il primo Giudice recepiva le conclusioni del CTU in ordine al nesso di causalità tra le lesioni riportate e il sinistro, ma rigettava la domanda perché la somma incamerata dalla donna risultava superiore a quella quantificata in corso di giudizio.

La decisione viene impugnata.

Con un primo motivo di gravame l’appellante censura la sentenza nella parte in cui il Giudice di prime cure ha omesso di riconoscere il danno morale. Sul punto precisa che a causa della manovra di retromarcia azzardata, ha subito anche un danno morale inteso nell’accezione di menomazione dell’aspetto specifico dinamico-relazionale personale, nonché nell’eccezione di sofferenza interiore; pertanto, chiede il relativo risarcimento con il conseguente aumento del 30% del risarcimento del danno.

Il motivo è infondato.

La donna erroneamente ritiene  che il danno dinamico relazionale sia altro rispetto al danno biologico. Invece, secondo l’attuale assetto normativo e giurisprudenziale la compromissione degli aspetti dinamico-relazionali della persona costituisce l’in sé del danno biologico, tanto è vero che l’art. 139 C.d.A. chiarisce che per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.

Discorso a parte, invece, per il danno morale, che costituisce effettivamente voce autonoma di danno che, tuttavia, richiede una specifica allegazione assertiva e probatoria che, nel caso di specie, è completamente mancata.

La prova orale articolata dalla danneggiata in primo grado e non ammessa, non è stata espressamente reiterata in sede di precisazione delle conclusioni. Oltre a ciò, dopo il deposito della CTU entrambe le parti chiedevano che la causa fosse trattenuta in decisione.

Ergo, è da considerarsi inammissibile la richiesta istruttoria formulata in appello poiché finalizzata alla dimostrazione di circostanze (limitazione della capacità di deambulazione) non riscontrate dalla C.T.U.

Avendo il CTU accertato una invalidità permanente del 3% l’unico sistema di liquidazione applicabile era quello previsto dell’art. 139 C.d.A. che riguarda appunto la liquidazione del danno da sinistro stradale per le lesioni che abbiano determinato postumi invalidanti permanenti non superiori al 9%.

Conclusivamente, l’appello viene accolto solo limitatamente alle spese documentate non correttamente conteggiate in primo grado.

Avv. Emanuela Foligno

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