Grave lombalgia post intervento di listesi non correttamente eseguito (Tribunale Roma, Sez. XIII, Sentenza n. 4697/2023 pubblicata il 23/03/2023).

Peggioramento delle condizioni del paziente a seguito di non corretto intervento per listesi del corpo lombare.

La paziente veniva ricoverata con diagnosi di stenosi del canale vertebrale e si sottoponeva a intervento chirurgico, listesi del corpo lombare 5/corpo sacrale 1 , con un fusione del corpo lombare 4 con il corpo sacrale 1.

L’intervento di listesi non sortiva l’effetto sperato; seguiva altro intervento in data 2/8/2011 che –egualmente- non aveva effetti positivi sulla paziente, permanendo una grave lombalgia,  frequenti blocchi articolari e parestesia degli arti inferiori.

In data 13 novembre 2012 la donna si ricoverava in Germania e veniva sottoposta ad un terzo intervento chirurgico, all’esito del quale veniva inserito un nuovo impianto di viti. I Medici tedeschi evidenziavano la non corretta esecuzione del primo intervento chirurgico.

Ciò, posto, ed esperito ATP, la paziente cita a giudizio l’ASL di Roma chiedendo il risarcimento del danno di oltre ottantamila euro per malpractice e per utilizzo di viti intrapeduncolari difettose.

I CTU, in seno al procedimento di ATP, hanno evidenziavano che la ricorrente, all’atto del ricovero,  “era affetta da una stenosi vertebrale lombare causata da una importante spondilosi lombo sacrale (L5 S1) con anterolistesi di II-III grado……. la diagnosi è stata correttamente posta e tale patologia richiedeva per le sue caratteristiche un trattamento chirurgico indifferibile in quanto non suscettibile di miglioramento con altre terapie mediche…..(….)….. l’intervento chirurgico eseguito nel 2010 risultava conforme con quanto previsto dalla migliore scienza medica e diede buoni risultati sul dolore e sulla funzione deambulatoria…; il primo intervento comportò un notevole miglioramento della sintomatologia antalgica e delle funzioni neurologiche , con una buona riduzione della anterolistesi da II-III grado si ridusse a I grado, ben evidente alle radiografie ….(..).. non si riscontra un comportamento negligente e imperito nell’intervento eseguito dai sanitari …”

Il collegio peritale, inoltre, rilevava che a distanza di sei mesi dall’intervento chirurgico del 2010 , si è verificata la rottura della vite intrapeduncolare S1 di sinistra, apprezzabile dalle immagini radiografiche successive al luglio 2010 (allorquando la ricorrente durante una normale passeggiata accusava la comparsa di un forte dolore lombosciatalgico) , rottura che ha determinato il riformarsi della anterolistesi ,ed una serie di problematiche cliniche e neurologiche che hanno reso necessario un nuovo intervento chirurgico,

Spiegano i CTU che “le cause che determinano la rottura di un sistema di fissaggio in titanio -materiale di cui era composta la vite S1 di sinistra- possono ricondursi “a tre motivazioni: mal posizionamento della vite intrapeduncolare ; eccessiva “fatica” del sistema inadatto a sostenere eventuali eccessivi carichi; materiale scadente (lega in titanio a bassa resistenza). Nel nostro caso non ritengo che tale rottura possa essere dovuta a mal posizione: la vite che potrebbe sembrare mal messa e maggiormente sotto carico risulta essere la vite su S1 a destra che invece ha ben tenuto . Il fatto che il sistema di fissazione lombare si sia rotto dopo pochi mesi , in assenza di ripresa di una attività di carico eccessiva (la paziente stava camminando) , fa propendere che la causa sia stata un difetto del materiale di cui era composta la vite utilizzata …. Dalla documentazione agli atti non si ha modo di conoscere con esattezza il comportamento della paziente e la prescrizione dei sanitari dopo l’evidenziazione della rottura della vite”……

A tal proposito osserva il Tribunale che la scelta, o l’utilizzo, da parte della Struttura di dispositivi costituiti da materiali scadenti o difettosi, o poco resistenti, che li rendano inidonei all’uso cui sono destinati, può in astratto costituire indici rivelatori di responsabilità contrattuale.

Difatti, nel contratto di spedalità  sono comprese una serie di prestazioni ulteriori rispetto a quella alberghiera che si sostanziano in organizzative, di sorveglianza, di controllo e custodia dei prodotti e dei dispositivi utilizzati, ecc.) volte a garantire appieno al paziente la tutela della sua salute. Ebbene, nel caso di danni da dispositivi medici difettosi la Struttura potrà essere chiamata responsabile in caso di carenze organizzative nella scelta, nella custodia e nella predisposizione delle misure di sicurezza e di igiene per l’utilizzo del prodotto.

Diversamente, al danneggiato non resterà che agire verso il produttore ex artt. 114 e ss. Cod. Cons.

Ebbene, l’utilizzo di una vite peduncolare composta da lega al titanio a bassa resistenza costituisce solo una delle possibili ipotesi elaborate dal collegio peritale per giustificare la ripresa del dolore nella zona lombare e sacrale della ricorrente, avendo i Consulenti fatto riferimento anche alla “eccessiva fatica del sistema inadatto a sostenere eventuali eccessivi carichi”.

Si discorre, dunque, di mera possibilità che , tuttavia, non rappresenta un rilevante grado di probabilità scientifica , anche alla luce della non trascurabile circostanza , ai fini dell’indagine sulla sussistenza del nesso causale tra inserimento della vite ipoteticamente in titanio a bassa resistenza, e danno, inteso come ripresa della sintomatologia dolorosa della paziente, secondo il criterio del più probabile che non.

In altri termini, non è dato sapere se la paziente nei sei mesi successivi all’intervento chirurgico abbia ripreso a svolgere una attività fisica di carico eccessiva, non limitata dunque alla sola passeggiata, che abbia inciso in maniera preponderante sulla rottura delle vite e sulla grave lombalgia accusata .

Anche i CTU hanno concluso per “l’assenza di responsabilità della Struttura in riferimento alla rottura della vite, evidenziando che non è dato accertare secondo il criterio del “più probabile che non” se l’utilizzo della vite abbia determinato la ripresa del dolore e delle problematiche neurologiche nella ricorrente”.

La domanda viene rigettata con condanna alle spese di lite e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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