La contestazione alla CTU (Cassazione civile, sez. un., 21/02/2022,  n.5624), riguardo violazioni procedurali, o al merito.

E’ possibile per la prima volta con la comparsa conclusionale contestare la C.T.U. nel merito.

La vicenda trae origine da una compravendita immobiliare ove gli acquirenti non venivano informati della assenza del certificato di abitabilità dell’immobile. Chiedevano, pertanto, il riconoscimento della differenza tra il prezzo pagato e il minor valore dell’immobile.

Il Tribunale di Tivoli, espletata la C.T.U., accoglieva la domanda, condannando le convenute al pagamento della somma di Euro 49.772,45, oltre interessi legali dalla data della sentenza, nonché alle spese. Successivamente, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3258/2017, rigettava il gravame, confermando integralmente la sentenza di prime cure.

La vicenda approda in Cassazione e con ordinanza interlocutoria n. 1990/2020, la Seconda Sezione ha disposto la trasmissione del procedimento al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite. L’ordinanza di rimessione ha rilevato che nella giurisprudenza di legittimità la questione posta dal ricorso non trova soluzione univoca.

Secondo un primo orientamento, che risulta maggioritario, le osservazioni critiche, e/o le contestazione alla CTU  non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice – perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale. Ergo le contestazioni alla CTU andrebbero sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione peritale.

L’orientamento minoritario, invece, opta – come evidenza l’ordinanza di rimessione – per la soluzione opposta, ritenendo che la comparsa conclusionale può contenere nuove ragioni di dissenso e contestazione avverso le valutazioni e conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti acquisiti alla causa, che non determinano un ampliamento dell’ambito oggettivo della controversia.

L’ordinanza interlocutoria ha individuato due profili problematici presentati dall’approdo giurisprudenziale appena richiamato. Il primo attiene alla disciplina degli artt. 191 e 195 c.p.c., laddove prevede che il giudice fissi tre termini nell’ambito del procedimento della C.T.U. nell’ottica di una progressiva formazione della stessa in collaborazione tra le parti, il giudice e gli esperti nominati, con piena esplicazione del principio del contraddittorio. Tale meccanismo, benché imperniato su termini ordinatori, ad avviso del collegio remittente, è difficilmente compatibile con la possibilità di nulla eccepire sino alla comparsa conclusionale. Il secondo, invece, si riferisce alla sottrazione del mezzo istruttorio della C.T.U., per quanto attiene al merito, a qualsiasi preclusione, laddove, invece, i vizi procedurali sono assoggettati al rigoroso termine di cui dell’art. 157 c.p.c., comma 2. Nell’ordinanza di rimessione si evidenzia, con riferimento al profilo in questione, anche la difficoltà di distinguere, in concreto, le critiche che attengono al procedimento (e che, ad ogni effetto, devono ritenersi eccezioni di nullità formali), e quelle che riguardano il contenuto della consulenza, esistendo peraltro vizi del procedimento che si ripercuotono sul contenuto della sentenza (è fatto l’esempio dell’indagine tecnica che si estenda oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, vizi questi del procedimento che inevitabilmente si riflettono sul contenuto della relazione tecnica).

Le Sezioni Unite, con la sentenza 3/06/2013, n. 13902 hanno affermato che la consulenza tecnica di parte deve considerarsi un mero atto difensivo, la cui produzione non può essere ricondotta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., e la cui allegazione nel procedimento è regolata dalle norme che disciplinano tali atti. Secondo le Sezioni Unite, infatti, la natura tecnica del documento resta quella di atto difensivo a contenuto tecnico, privo di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione è ammissibile anche in appello; tale principio è stato ribadito anche da successive pronunce, v. Cass., ord., 24/08/2017, n. 20347; Cass., ord., 17/10/2019, n. 26487, che hanno precisato che la consulenza di parte  può essere prodotta  anche dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni.

Tornando alla questione posta all’attenzione delle S.U.,  e cioè se le critiche alla consulenza tecnica d’ufficio possano essere sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale – e premesso che allorquando, attraverso l’inserimento di rilievi di natura tecnica nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio, la parte intenda introdurre in giudizio nuovi fatti costituivi modificativi o estintivi, domande, eccezioni e prove, essi debbono ritenersi inammissibili se svolti per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, il Consesso ritiene che occorre operare una distinzione tra le censure che attengono a violazioni procedurali e le censure inerenti al “merito”, cioè a contestazioni “valutative” delle indagini peritali.

Solamente le censure relative al procedimento della C.T.U., in quanto nullità relative, sono soggette al regime di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., che impone alla parte nel cui interesse è stabilito un requisito dell’atto di opporre la relativa nullità per la mancanza del requisito stesso entro il termine di decadenza costituito dalla prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.

Viene affermato il seguente principio di diritto: “le nullità procedimentali della consulenza tecnica sono, in generale e quando non ridondano in nullità rilevabili anche d’ufficio, soggette all’applicazione dell’art. 157 c.p.c., comma 2.”

Per quanto riguarda le critiche rivolte al “contenuto” della CTU,  in difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al CTU di rilievi critici esplica le sue conseguenze negative nell’ambito del solo subprocedimento – sicché il C.T.U. non dovrà depositare nel termine a lui assegnato la sintetica valutazione delle osservazioni rese dalle parti tardivamente rispetto al termine alle stesse all’uopo fissato – ma non preclude alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio.  Proprio dalla sopra ricordata possibilità di poter produrre una consulenza tecnica di parte, in quanto mero atto difensivo (Cass., Sez. un., n. 13902/2013) anche per la prima volta in sede di appello, non si può ritenere che sia precluso alle parti di svolgere deduzioni, osservazioni e critiche nuove alla consulenza tecnica oltre i termini fissati dal giudice ai sensi dell’art. 195 c.p.c., nel giudizio di primo grado.

Conseguentemente è ammissibile, anche per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, la possibilità di svolgere critiche al contenuto della CTU poiché, trattandosi di mere difese, esse non incontrano alcuna particolare preclusione.

E’ evidente che la contestazione della CTU deve essere relativa a circostanze “valutative” e/o “di merito”,  anche alla luce della funzione meramente illustrativa della comparsa conclusionale in relazione alle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte.

Conclusivamente, di seguito i principi di diritto affermati dalle S.U.:

“Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della C.T.U. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del Giudice in relazione a tale mezzo istruttorio”.

“In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il secondo termine previsto dell’art. 195 c.p.c., u.c., così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare; pertanto la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello”.

“Qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all’uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111 Cost. e, in applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 1, u.p., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite”.

Avv. Emanuela Foligno

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