Personalizzazione del danno rigettata (Cassazione civile, sez. III, 31/10/2023, n.30293).

Invalidità permanente di grado elevato e mancato riconoscimento della personalizzazione del danno.

La vicenda trae origine da un sinistro stradale definito dal Tribunale di Milano che liquidava al danneggiato l’importo complessivo di euro  566.674,47, più precisamente euro 525.687,50 per invalidità permanente ed euro 27.342,00 per invalidità temporanea. Da tale importo veniva detratta la somma di euro 262.002,32 quale importo corrisposto dall’Inail, “comprensivo dell’indennità da temporanea, degli acconti e ratei già pagati e del valore capitale della rendita calcolato al (Omissis) in Euro 218.468,08, sulla base di una valutazione del danno da invalidità permanente nella misura del 40% sulla base dei criteri propri dell’Istituto”, avendo l’istituto agito in surroga nei diritti dell’attore ai sensi dell’art. 1916 c.c..

La Corte d’appello di Milano, successivamente rigettava entrambi i contrapposti gravami interposti, in via principale, dal danneggiato in relazione alla quantificazione dei danni e, in via incidentale, dall’Assicurazione, con unico atto, in relazione alla ritenuta esclusiva responsabilità del danneggiato nella causazione del sinistro.

Quest’ultimo propone ricorso in Cassazione. Lamenta, in sintesi e per quanto qui di interesse, l’omesso integrale riconoscimento dei danni patiti, riguardo la personalizzazione del danno con riferimento alla peculiarità del caso e ai gravi riflessi sulla vita di relazione.

Secondo i Giudici di appello “le conseguenze lamentate dal danneggiato (attività di svago rinunciate quali il calcetto, il trekking e la lettura) erano riconducibili a quelle ordinarie e non indicavano alcuna particolarità tale da incidere in maniera specifica sugli aspetti dinamico relazionali personali.”

Il danneggiato non ha specificatamente indicato e descritto negli atti difensivi, tutte le sofferenze di cui ha preteso il ristoro, non consentendo alla Corte di appello di discostarsi da quanto affermato dal Tribunale di Milano.

In Cassazione, invece, il danneggiato sostiene di avere allegato e provato nel giudizio di primo grado che la lesione patita è stata di particolare gravità sia per le modalità (“importante tumefazione e deformazione del volto… evidenza di sfacelo del massiccio facciale”), sia per la lunghezza del periodo di convalescenza, sia per la sottoposizione a ben sette interventi chirurgici. In particolare, contrariamente a quanto affermato in sentenza, egli aveva specificamente allegato, e aveva formato oggetto di capitoli di prova non ammessi (testualmente trascritti in ricorso),  una serie di disturbi, limitazioni e sofferenze (vertigini e cefalea con dolori acuti; deficit visivi e conseguente abbandono della passione per la lettura; depressione; irritabilità; abbandono del calcetto e dell’attività di arbitro di calcio; abbandono della passione per la montagna e delle escursioni; maggiore penosità del lavoro; difficoltà di movimentazione dei muscoli facciali, limitazioni nella alimentazione; danno estetico), la cui conferma avrebbe dovuto condurre al riconoscimento dell’eccezionale misura del danno morale, del danno esistenziale e della penosità del danno da invalidità temporanea.

La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.

Innanzitutto gli Ermellini evidenziano come non vi sia alcuna anomalia argomentativa nella sentenza impugnata. Venendo alla infondatezza della censura, viene evidenziato che:

– alcune delle circostanze cui è riferita la doglianza (passione per la lettura, trekking, calcetto) risultano in realtà già espressamente considerate in sentenza e motivatamente giudicate irrilevanti ai fini in questione;

– altre circostanze (vertigini e cefalea con dolori acuti; deficit visivi; depressione; maggiore penosità del lavoro; difficoltà di movimentazione dei muscoli facciali, limitazioni nella alimentazione; danno estetico), più che fatti storici costituiscono asserite menomazioni che devono formare oggetto, in un senso o nell’altro, non di prova per testi ma di accertamento e valutazione medico-legale; esse devono dunque presumersi anche poste ad oggetto, con esiti valutativi in un senso o nell’altro, dalla C.T.U. espletata nel corso del giudizio di primo grado, che non risulta sia stata fatta segno di alcuna censura in punto di completezza ed attendibilità.

Ebbene, quanto deciso in secondo grado è corretto. Difatti, secondo principio del tutto consolidato  “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge, o dalle Tabelle, può essere incrementata con motivazione analitica solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna personalizzazione in aumento.”

Viene inoltre rammentato il concetto che il grado di invalidità permanente esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che la menomazione ha causato sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona; in particolare, le conseguenze possono distinguersi in due gruppi:

1- quelle necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare grado di invalidità;

2- quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili.

Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali allegate dal danneggiato, che rendano il danno più grave rispetto alle conseguenze ordinarie, è consentito al Giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione. Nel concreto, come detto, il danneggiato si duole della asserita mancata considerazione dei gravi riflessi sulla vita relazionale in termini, però, inidonei a rappresentare l’esistenza di quelle peculiarità che giustificherebbero la personalizzazione del danno in incremento.

L’impossibilità di continuare a praticare attività di svago o sportiva (salvo il caso che la stessa risulti particolarmente qualificata, ad es. per lo svolgimento a livello professionistico, il che nella specie non risulta nemmeno dedotto) è conseguenza da considerarsi abbastanza comune e ordinaria, derivante da invalidità di grado elevato quale quella di che trattasi.

Pertanto, delle due l’una: o sono stati già considerati dal C.T.U. e poi dal Tribunale nella determinazione della complessiva percentuale invalidante e poi del danno biologico per così dire base, e in tal caso non si giustifica alcuna personalizzazione; o non lo sono stati, ma in tal caso la censura avrebbe dovuto appuntarsi sulla determinazione del grado di invalidità e, in questa sede, avrebbe ancor prima dovuto allegarsi, nel rispetto degli oneri di specificità, che in tali termini era stata già proposta in appello e non esaminata come tale.

OSSERVAZIONI

La decisione a commento, pur non introducendo alcuna “novità” riguardo il riconoscimento della personalizzazione del danno, si presenta interessante riguardo la necessità di allegazione specifica dei pregiudizi patiti dal danneggiato, diversi da quelli ordinari; riguardo il significato concettuale della percentuale di invalidità permanente e l’utilizzo della prova testimoniale.

Il principio giurisprudenziale che consente la personalizzazione del danno è a dirsi del tutto consolidato, e la decisione è allineata in tal senso. Solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), si può discorrere di incremento del danno attraverso la cd. personalizzazione. Ciò significa che il danneggiato, già negli atti processuali, deve analiticamente descrivere le conseguenze particolari che ritiene pregiudicate dall’evento lesivo, in tal modo il Giudice potrebbe ricorrere al principio “presuntivo”. Non è sufficiente articolare prove testimoniali, sebbene particolareggiate, senza il passaggio precedente della specifica allegazione, perché le prove orali verranno rigettate.

Altro concetto importante espresso dalla Cassazione riguarda il grado di invalidità permanente riconosciuto al danneggiato. Tale valore percentuale esprime la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che la menomazione ha causato sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona. Le conseguenze vengono suddivise in : 1- quelle comuni a tutte le persone a pari misura di invalidità; 2- quelle peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili. Questo significa che la personalizzazione del danno non è in rapporto di dipendenza con la percentuale di invalidità di grado elevato e che i “pregiudizi particolari” devono essere necessariamente allegati in maniera dettagliata, e non semplicemente indicati.

Infine appare particolarmente significativo l’obiter della Cassazione laddove afferma che i “peculiari” risvolti lamentati dal danneggiato  o vengono considerati dal C.T.U. nella determinazione della complessiva percentuale invalidante, e poi del danno biologico base, (ed allora non è possibile personalizzare poiché si duplicherebbe); o non lo sono stati, ma in tal caso il danneggiato si deve dolere (anche) della determinazione del grado di invalidità.  

Avv. Emanuela Foligno

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