Atteggiamento attendista e decesso del paziente (Cassazione penale, sez. IV, dep. 20/12/2022, n.48220).

Atteggiamento attendista del Medico e successivo decesso del paziente.

La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza appellata dagli eredi del paziente, ha assolto i Sanitari dal reato di omicidio colposo del paziente.

Il paziente veniva sottoposto, dai due Medici imputati, ad un intervento cardiochirurgico a cuore aperto con impianto di due bypass; successivamente il paziente veniva dimesso e trasferito presso altra struttura per la riabilitazione; il 21 agosto veniva rilevata la presenza di una piccola falda di versamento intrapericardico, peggiorato nei giorni successivi, tanto che il 25 agosto il paziente veniva trasferito presso il reparto di cardiochirurgia; il 29 agosto, sottoposto il paziente ad accertamenti strumentali (TAC e angioTC), il consulente cardiochirurgo decideva di non intervenire, ma di monitorare il paziente il quale, però, dopo un primo periodo di condizioni stabili, si aggravava fino al decesso.

Il Tribunale, sulla base delle conclusioni rassegnate dai Consulenti tecnici nominati dal PM, ha dichiarato la responsabilità dei medici, per avere nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, proceduto alla rivascolarizzazione miocardica di due rami secondari e non della discendente anteriore, cioè dell’arteria più importante dal punto di vista funzionale, in assenza di motivi ostativi; ha, inoltre, condannato il cardiochirurgo per avere optato per una scelta attendista, mentre a fronte dell’incremento dell’emopericardio si imponeva un trattamento di pericardiocentesi o di revisione chirurgica.

La Corte di Appello, disposta una perizia collegiale e sentiti i periti, ha riformato la decisione di primo grado, assolvendo gli imputati dal reato loro ascritto per insussistenza del fatto. I Giudici d’appello hanno ritenuto insussistenti i profili di colpa addebitati ai due Medici e hanno ritenuto non dimostrato, sotto il profilo controfattuale, che una diversa condotta avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza del paziente, avendo i periti concluso nel senso che il decesso del paziente era avvenuto “per il sommarsi di numerose patologie”.

Avverso la sentenza propongono distinti ricorsi per cassazione le parti civili.

Deducono che l’impugnata sentenza si è erroneamente discostata dalla causa di morte descritta nell’esame autoptico, ove prevalente importanza assumeva l’edema polmonare acuto e l’emopericardio, per sostenere, come riferito dai periti, che il decesso sarebbe avvenuto per “il sommarsi delle numerose patologie: scompenso cardiaco, grave insufficienza renale, stato anemico, stato settico, che culminarono come arresto cardiocircolatorio”; che, inoltre, il paziente aveva delle condizioni pregresse di salute ad elevato rischio cardiovascolare, il cui apparato era, comunque, gravemente compromesso. Secondo i ricorrenti, le complicanze, enfatizzate nella relazione di perizia, in ordine allo stato di salute del paziente sono state la conseguenza dell’intervento chirurgico. La causa di morte quale “tamponamento cardiaco ovvero emopericardio saccato”, esclusa dai periti in fase d’appello, è confermata da tutta la documentazione medica in atti.

Deducono, inoltre, quanto alla condotta dei chirurghi che, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la mancata precisazione di eventuali controindicazioni assolute rispetto alla scelta di limitare la rivascolarizzazione miocardica a vasi secondari, costituisce un momento di criticità operativo, sostanziale e non formale, posto che, ipotizzando come realizzata una diversa e più efficace rivascolarizzazione miocardica, i consulenti hanno affermato che sarebbero sussistite maggiori possibilità di evitare il decesso del paziente o prolungarne la sopravvivenza.

Contestano, infine, il ragionamento della Corte territoriale, secondo cui l’intervento eseguito non avrebbe prodotto effetti clinicamente significativi sul successivo decorso operatorio, perché in contrasto con le risultanze processuali e contrario alle leggi scientifiche.

Le censure non vengono accolte in quanto non finalizzate a evidenziare vizi motivazionali, bensì a censurare la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove.

I ricorrenti, infatti, sollecitano una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali, in quanto ritenute in contrasto con le conclusioni dei periti nominati dalla Corte di Appello, su cui si basa la sentenza impugnata.

Ad ogni modo, la Suprema Corte evidenzia che le motivazioni della sentenza di appello appaiono congrue e non manifestamente illogiche, laddove hanno adeguatamente argomentato e confutato le considerazioni contrastanti dei Consulenti di parte, richiamandosi motivatamente alle conclusioni dei Periti nominati dal P.M.

I ricorrenti affermano che, sulla base dell’esame autoptico, la morte del paziente era avvenuta in conseguenza dell’edema polmonare acuto e dell’emopericardio, per cui non potrebbe darsi credito all’affermazione dei Periti secondo cui il decesso sarebbe avvenuto per “il sommarsi delle numerose patologie: scompenso cardiaco, grave insufficienza renale, stato anemico, stato settico, che culminarono come arresto cardiocircolatorio”, di cui non vi sarebbe alcun riscontro nella documentazione sanitaria acquisita.

Tale censura sollecita una nuova rivalutazione del compendio probatorio, non ammissibile in Cassazione.

Dall’esame complessivo degli atti e della documentazione sanitaria acquisita, i Periti hanno indicato le cause della morte, conseguenza, come detto, di “numerose patologie” ; a questa valutazione scientifica i Giudici di merito si sono richiamati in maniera congrua e non manifestamente illogica, valutando non raggiunta – al di là di ogni ragionevole dubbio – la prova del nesso causale e l’atteggiamento attendista lamentato.

I Giudici, in altri termini, sulla scorta del giudizio controfattuale, hanno ritenuto non dimostrato che una diversa condotta dei Medici avrebbe garantito, in termini di apprezzabile probabilità, la sopravvivenza o una maggiore sopravvivenza del paziente.

I ricorsi vengono rigettati.

Avv. Emanuela Foligno

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