Secondo la ricerca, condotta su oltre 2500 donne, i contraccettivi ormonali combinati ( CHC ) non favorirebbero la comparsa del cancro al seno

I contraccettivi ormonali combinati (CHC), cioè quelli che contengono sia un estrogeno sia un progestinico, sono i metodi di contraccezione più utilizzati nel mondo. Spesso sono accusati di favorire la comparsa di tumore al seno; ma un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori italiani dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dimostrerebbe il contrario.

La ricerca ha riguardato una campione di 2527 donne a rischio familiare di tumore al seno, anche portatrici della mutazione BRCA (come l’attrice Angelina Jolie). L’analisi retrospettiva di coorte avrebbe rilevato che l’uso di contraccettivi ormonali combinati non aumenterebbe il rischio di tumore al seno; anche in caso di gruppi ad alto rischio e a rischio intermedio.

Attualmente, i CHC sono i metodi di contraccezione più usati nelle regioni più sviluppate del mondo: la percentuale media di utilizzo è pari al 18% nelle donne sposate tra i 15 e i 49 anni. E le donne di questa fascia di età sono anche quelle più esposte alla diagnosi di tumore al seno rispetto ad altri tumori.

Gli anticoncezionali ormonali hanno una dimostrata efficacia protettiva verso forme tumorali molto aggressive e di difficile diagnosi e cura; tra queste quella dell’ovaio, ad alto tasso di mortalità.

Data tale premessa anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rivisto i criteri di idoneità medica per i contraccettivi. Gli esperti hanno deciso che l’uso di CHC non dovrebbe essere limitato nemmeno per le donne con una storia familiare di tumore al seno.

Ginecologi ed oncologi del Centro per lo studio dei tumori eredo-familiari dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena hanno eseguito una revisione delle cartelle cliniche di 2527 donne che avevano partecipato allo screening di valutazione oncologica (4,5% portatrici di mutazione BRCA, 72,2% ad alto rischio e 23,3% a rischio intermedio di sviluppo di tumore al seno). Il 10,1% di queste pazienti aveva già presentato un tumore al seno prima dei 50 anni.

In tutta questa popolazione si è osservato che il menarca tardivo (la prima mestruazione), dopo i 12 anni, risultava un fattore protettivo; mentre la tarda età della prima gravidanza (oltre 30 anni) era un fattore di rischio indipendente per tumore al seno. Dall’incrocio di tutti i dati raccolti, l’uso dei CHC non è stato associato ad un aumento del rischio di tumore al seno; ciò anche in presenza di predisposizione genetica o familiare, e indipendentemente dalla durata d’uso del CHC e dalle dosi di estrogeni utilizzati. Anzi, alcuni contraccettivi comunemente usati erano associati a una tendenza, a volte significativa, verso un rischio diminuito di tumore al seno.

 

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