In materia di chirurgia estetica il consenso informato è più ampio, in quanto il chirurgo deve informare il paziente non solo dei rischi dell’intervento e delle tecniche prescelte, ma anche del risultato estetico che da esso scaturirà

La vicenda

Nel maggio del 2018 la Corte d’Appello di Palermo condannava un chirurgo estetico a pagare rispettivamente la somma di 90 mila e 111 mila euro circa in favore di due donne, madre e figlia, a titolo di risarcimento del danno conseguente alla mancanza di un valido e preventivo consenso informato riguardo all’esecuzione di interventi di mastoplastica additiva con inserimento di protesi, oltre al fatto di non averli eseguiti correttamente.

La sentenza è stata confermata dai giudici della Sesta Sezione Civile della Cassazione con l’ordinanza n. 29827/2019 in commento.

Tra gli altri motivi di ricorso, il ricorrente aveva dedotto l’erroneità della sentenza impugnata in ordine alla violazione e falsa applicazione delle norme sul consenso informato.

Chirurgia estetica e consenso informato

Ma il motivo è stato dichiarato manifestamente infondato, non soltanto perché era volto a ottenere una diversa e più favorevole valutazione del materiale probatorio acquisito dal giudice dell’appello, ma anche perché mostrava di confondere il danno da lesione alla salute con la lesione del diritto a esprimere, prima di una operazione, un consapevole consenso informato e inoltre ometteva di considerare la particolarità della chirurgia estetica, ove “il consenso deve formarsi non solo in ordine ai rischi dell’intervento ed alle tecniche prescelte, ma anche in ordine al risultato estetico che da esso scaturirà, non potendo essere in ogni caso lasciata al sanitario la scelta sulla opzione esteticamente preferibile, che è scelta estremamente privata e riservata al paziente”.

Ed è proprio in questi termini che si era sostanziato l’inadempimento qualificato ascritto al ricorrente, che aveva ritenuto non fosse suo dovere comunicare alle pazienti che avrebbe inserito una protesi additiva del seno, ovvero un corpo estraneo e che gli interventi, così come eseguiti, avrebbero comportato un aumento di due taglie non necessario e pacificamente evitabile con diversa tecnica chirurgica migliorativa dell’aspetto estetico.

La decisione

Correttamente la Corte d’Appello aveva rilevato che l’aver eseguito una diversa operazione, a prescindere dalla tecnica utilizzata con modalità più o meno corrette, avesse comportato non solo un inadempimento contrattuale ai sensi dell’articolo 1218 c.c., ma anche la lesione dell’integrità psico-fisica delle due donne ai sensi dell’articolo 2043 c.c., sottoposte a un inutile rischio chirurgico e costrette in seguito, a rioperarsi per eliminare l’effetto indesiderato dell’aumento del volume del seno e ottenere quello voluto di revisione della mastopessi.

La Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello anche in ordine al criterio di quantificazione e liquidazione del danno non patrimoniale, sia per la cattiva esecuzione degli interventi che per la modifica non voluta dell’aspetto estetico del seno, con valutazione equitativa della inabilità temporanea rapportata al lasso di tempo tra gli interventi eseguiti e i successivi interventi ai quali madre e figlia si sottoposero per eliminare i risultati non voluti e conseguire l’effetto estetico desiderato. A tal proposito, la Corte d’Appello aveva correttamente fatto applicazione della voce di danno indicata dalle Tabelle milanesi quale idoneo parametro di riferimento per il caso in esame.

In definitiva il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato anche a pagare le spese di giudizio.

Avv. Sabrina Caporale

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