Con la sentenza n. 10506/2017 del 26 aprile 2017, la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola claim’s made è illecita se esclude la copertura della garanzia, in particolar modo se applicata nell’ambito della responsabilità medica.

Il caso su cui si è pronunciata la Corte, riguarda infatti un paziente che ha convenuto in giudizio una Azienda Ospedaliera per vederla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un intervento chirurgico che riteneva eseguito imperitamente dai sanitari della stessa.
L’Azienda in questione si è costituita in primo grado chiamando in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile; il quale a sua volta ha negato di essere tenuto al pagamento dell’indennizzo.
A sostegno della propria difesa l’assicuratore ha dedotto che il contratto escludeva la garanzia per i fatti illeciti commessi dall’assicurato, anche durante la vigenza del contratto, se la richiesta di risarcimento da parte del terzo fosse pervenuta all’assicurato dopo la scadenza del periodo di assicurazione indicato nella polizza (ed in ciò consiste appunto la c.d. clausola claim’s made).

Il giudizio di primo e secondo grado

Il Tribunale in primo grado ha accolto le contestazioni avanzate dalla compagnia assicuratrice. Ma tale sentenza è stata appellata, su questo punto, dall’Azienda ospedaliera.
La Corte d’Appello presso cui è stato proposto il gravame ha ribaltato il giudizio di primo grado ritenendo che:
– la clausola claim’s made, nella sua forma tipica, dovrebbe prevedere una retroattività della copertura assicurativa per i 10 anni precedenti la stipula del contratto;
– nel caso di specie il contratto prevedeva la copertura per i soli fatti illeciti commessi dall’assicurata entro i tre anni precedenti la stipula del contratto;
– ergo, la clausola claim’s made pattuita nel caso in esame era atipica e vessatoria; doveva ritenersi nulla perchè non espressamente sottoscritta, e per effetto della nullità si doveva sostituire di diritto con la regola generale di cui al 1 comma dell’articolo 1917 c.c., il quale stutisce:” Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.”
A sua volta, avverso la sentenza della Corte d’Appello è stato proposto da parte della Compagnia assicuratrice ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, la quale si è pronunciata seguendo il solco tracciato dalla sentenza n. 9140/2016, espressa a Sezioni Unite.

In tale sentenza è stato stabilito che:

“-La clausola claim’s made, nella parte in cui subordina l’indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all’assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, delimita l’oggetto di questo, e non la responsabilità dell’assicuratore, e di conseguenza non è vessatoria;
– la clausola claim’s made, pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici non diretta a “realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, ai sensi dell’articolo 1322 c.c.”
La valutazione di cui parla la Corte, andrebbe fatta in concreto e non in astratto, valutando:
– se la clausola subordini l’indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;
– la qualità delle parti;
– la circostanza che la clausola possa esporre l’assicurato a “buchi di garanzia”.

Il giudizio della Corte di Cassazione

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto che nel caso in esame la clausola non superi il vaglio di meritevolezza richiesto dall’articolo 1322 c.c..Essa ha operato la sua valutazione sostenendo testualmente che “La clausola claim’s made è un patto atipico, sorto in un ordinamento giuridico il cui diritto assicurativo è stato in passato, e resta ancor oggi, molto distante da quello italiano: per genesi, sviluppo e contenuto.
In quanto patto atipico, alle parti è consentito adottarlo solo se inteso a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico. [..] la meritevolezza è un giudizio (non un requisito del contratto, come erroneamente sostenuto da parte della dottrina), e deve investire non il contratto in sè, ma il risultato con esso perseguito.”
La Corte, effettua perciò una sintesi dei contratti o patti contrattuali che, risultano immeritevoli di tutela, pur formalmente rispettosi della legge, e sono quelli che hanno per scopo o per effetto di:
(a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra
(b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra;
(c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

La clausola claim’s made

Alla luce di questi criteri valuta perciò la meritevolezza della clausola claim’s made inserita nel contratto di assicurazione stipulato tra l’Azienda Ospedaliera e la Compagnia Assicuratrice.
La Corte sostiene che una clausola di questo tipo, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulata da un soggetto esercente la professione sanitaria, ed a copertura dei rischi propri di questa, non appare destinata a perseguire interessi meritevoli di tutela, sotto nessuno dei tre aspetti enucleati sopra, ragion per cui rigetta il ricorso esprimendo il seguente principio di diritto:
“La clausola c. d. claim’s made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’articolo 1322 c.c., comma 2, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.”
 

Avv. Annalisa Bruno
(Foro di Roma)

 
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