Contributi previdenziali e azione di ripetizione in caso di versamento in eccesso (Cass. civ., sez. lav., 25 ottobre 2022, n. 31508).

Contributi previdenziali e azione di ripetizione da parte del datore di lavoro.

La Suprema Corte così si è espressa: “Fermo restando che in caso di versamento in eccesso, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali, quest’ultimo è l’unico soggetto legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente, anche con riguardo alla quota a carico del lavoratore, il quale potrà invece agire nei confronti del datore di lavoro che ha effettuato la trattenuta”.

Il Tribunale di Milano condannava il datore di lavoro, a restituire ad un ex dipendente le trattenute operate per mancata applicazione del massimale contributivo di cui all’art. 2, comma 18, l. n. 335/1995 per l’intera durata del rapporto di lavoro.

La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiarava prescritti i crediti maturati fino al 2005, ordinando all’ex dipendete la relativa restituzione delle somme ricevute. La Corte, inoltre, escludeva che sul lavoratore gravasse un obbligo di attivarsi per scoprire l’errore commesso dal datore di lavoro ex art. 1127 c.c., secondo cui “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento e’ diminuito secondo la gravita’ della colpa e l’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate”.

Il lavoratore impugna la sentenza d’appello in Cassazione e il datore di lavoro con ricorso incidentale lamenta la sospensione della prescrizione.

In caso di versamento in eccesso dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro, è costui l’unico soggetto legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alla quota a carico del lavoratore.

Il lavoratore, invece, potrà agire nei confronti del datore di lavoro che ha effettuato la trattenuta, azionando così un credito di natura retributiva.

Ne consegue che, in tal caso, non si applica la prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4 c.c., nè l’art. 429 c.p.c. in materia di interessi di rivalutazione e l’azione può essere intrapresa a prescindere dal fatto che il datore di lavoro abbia ottenuto il rimborso dei contributi effettivamente versati.

Nel caso di specie, l’azione proposta dall’ex dipendente, riguardante le differenze retributive, va considerata come tesa ad ottenere l’integrale pagamento da parte del datore di lavoro delle retribuzioni dovute e illegittimamente decurtate.

Per tali ragioni è infondato il motivo di ricorso con cui il lavoratore invoca il decorrere della prescrizione dal momento in cui il datore di lavoro comunicava l’errore commesso in eccesso sul versamento dei contributi previdenziali.

Fondata, invece, la censura del datore di lavoro inerente la sospensione della prescrizione.

La giurisprudenza di legittimità configura infatti la sospensione del corso della prescrizione del diritto alla retribuzione in costanza di rapporto come dipendente dall’assenza di stabilità reale del rapporto stesso.

Tuttavia, la Corte territoriale ha errato nel non considerare che il termine di prescrizione aveva ripreso a decorrere dopo il periodo di sospensione. Sussiste, pertanto, una falsa applicazione delle norme che governano il regime della prescrizione per i crediti derivanti dai contributi previdenziali.

Conclusivamente, la Suprema Corte accoglie in tali limiti il ricorso incidentale e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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