La Corte di Cassazione ha posto fine a una questione che si trascinava da oltre un decennio, stabilendo che i medici e odontoiatri che lavorano per società accreditate con il Ssn hanno diritto a vedersi riconosciuti contributi calcolati sul fatturato e non sui redditi percepiti.

La vicenda si ordina nel 2004, anno a partire dal quale le strutture sanitarie private accreditate con il Servizio Sanitario Nazionale sono tenute a versare il 2% di quanto fatturato in convenzione al Fondo di previdenza specialisti esterni dell’Enpam.

Una prescrizione che non sempre si è tradotta in pratica, con molte strutture private che nel corso del tempo hanno cercato di far passare il principio che i contributi, al massimo, sono dovuti sui compensi pagati ai medici e non sulle somme, ovviamente più elevate, fatturate alle Asl. Una differenza di posizioni che non di rado ha portato all’apertura di contenziosi giudiziari.

A seguito di uno di questi – che vedeva contrapposti la Fondazione Enpam e una società privata – la Suprema Corte sembra aver ora messo un punto, con la pronuncia della Quarta sezione Lavoro che ha accolto il ricorso dell’Enpam, confermando che la base contabile deve essere l’intero ammontare derivante dalle prestazioni specialistiche.

All’atto pratico, si tratta di un rilevante aumento dei contributi pensionistici che verranno versati al Fondo, che finora – anche a causa del comportamento delle compagnie – era stato impossibilitato a raggiungere un normale equilibrio.

Va ricordato anche che negli ultimi anni, oltre alla vasta azione legale, la Fondazione Enpam aveva posto in essere un progressivo e costante incremento delle attività ispettive nei confronti delle società morose, ottenendo risultati considerevoli: oltre 200 decreti ingiuntivi emessi dal proprio Servizio ispettivo, che hanno portato nelle casse dell’ente circa 15 milioni di euro di contributi recuperati. Ora, l’applicazione di quanto stabilito dagli ermellini di Piazza Cavour, dovrebbe condurre i conti del Fondo al definitivo equilibrio.

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