Danno differenziale e previdenziale da sinistro stradale (Cassazione civile sez. III, 14/02/2023, n.4571).

Danno patrimoniale differenziale e previdenziale per le lesioni derivanti da sinistro stradale. Interessante decisione della Suprema Corte che raffronta i parametri del danno civilistico con quello dei parametri Inail.

I coniugi, in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore ricorrono, avvalendosi di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 110-2022 emessa dalla Corte d’Appello di Trieste. Resiste con controricorso la Compagnia di assicurazione.

L’uomo, all’epoca dei fatti trentasettenne, riparatore di auto e titolare di officina meccanica, veniva investito mentre si recava a riparare un’auto e l’incidente gli provocava vari politraumatismi, un trauma contusivo alla regione zigomatica sx e lo strappamento del piede sx.

Nei successivi quattro anni si sottoponeva a numerosi ricoveri e a sette interventi chirurgici che, però, non scongiuravano l’amputazione del piede. Ricorreva agli oppiacei per alleviare il dolore, soffrìva della sindrome dell’arto fantasma e di disturbi d’ansia, tentò invano attraverso l’ennesimo intervento eseguito in Svizzera  di trovare una protesi che si adattasse al suo arto, finchè nel 2012 si vedeva costretto a chiudere la propria officina.

Il Tribunale di Pordenone accoglieva parzialmente le domande attoree, condannando in solido le convenute a corrispondere Euro 192.935,03 a favore dell’uomo, Euro 20.000,00 a favore della moglie e rigettava le domande proposte per conto dei figli.

La Corte d’Appello di Trieste accoglieva parzialmente l’appello, rideterminando in Euro 215.792,58 quanto spettante a titolo risarcitorio all’uomo.

In Cassazione i ricorrenti deducono il rigetto con motivazione apparente, contraddittoria e al di sotto del minimo costituzionale, della domanda di risarcimento del danno patrimoniale differenziale da lucro cessante, temporaneo e permanente, nonché previdenziale.

Nello specifico viene censurato il mancato riconoscimento della riduzione della capacità lavorativa specifica, risultata, secondo il CTU, ridotta del 55%, del danno differenziale e del lucro cessante.

Tale censura viene considerato infondata.

La Cassazione dà continuità a quanto indicato dalle SS.UU. (8053/2014) ovverosia che non è consentito denunciare vizio di motivazione se non quando esso dia luogo ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

La Corte di Appello, in concreto, ha valutato la lesione alla capacità lavorativa specifica dell’uomo, rilevando la mancanza di prova che la cessazione dell’attività artigianale di autoriparazione dei veicoli fosse da porre in relazione con le lesioni subite, non essendo stata fornita la prova che essa non potesse continuare, eventualmente anche in misura ridotta o con diversa organizzazione.

Con il secondo motivo viene censurato il danno differenziale.

I ricorrenti sostengono che avendo l’Inail riconosciuto un’inabilità temporanea di 529 giorni, a fronte dei 540 giorni indicati dalla Ctu, e una invalidità permanente del 44%, a fronte della percentuale del 55% indicata dal Ctu, la Corte di Appello avrebbe dovuto concludere che il danno civilistico era superiore a quello riconosciuto dall’Inail ed avrebbe dovuto riconoscere a titolo di danno differenziale patrimoniale per lucro cessante la somma di Euro 58.797,86. Oltre a ciò, sempre secondo i ricorrenti, a fronte di una invalidità permanente del 55%, e della cessazione dell’attività lavorativa nel 2012, la Corte di merito avrebbe dovuto presumere la ricorrenza di un danno patrimoniale.

Osserva la Suprema Corte che viene fatto riferimento al danno liquidato dall’Inail e agli accertamenti contenuti nella CTU, al fine di ottenere una richiesta di nuova valutazione dei fatti di causa, cui non può provvedersi in sede di legittimità.

Il terzo e quarto motivo di censura vengono considerati infondati.

Il quinto motivo, inerente il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale a favore dei figli, viene accolto.

I Giudici di Appello hanno commesso un errore di diritto sottoponendo a un differente regime probatorio le pretese risarcitorie avanzate per i figli, in tenera età al momento dell’evento lesivo.

E’ stata erroneamente pretesa l’allegazione di concrete voci di danno per i figli, solo in ragione del fatto che la prima avesse quattro anni al momento dell’incidente e che il secondo fosse nel grembo materno, senza considerare l’aspetto presuntivo.

Sul punto viene ribadito che il danno parentale si configura anche in presenza di mera lesione del danno e che esso consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto e/o dall’inevitabile atteggiarsi di quel rapporto in modo differente.

Si discorre, dunque,  di un danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, il quale se ritenuto spettante in astratto, come ammesso dalla Corte d’appello, può essere allegato e dimostrato ricorrendo a presunzioni semplici, a massime di comune esperienza, al fatto notorio, dato che l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare.

Conclusivamente, detta censura viene accolta e la causa rinviata alla Corte di Trieste in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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