Come si evince dalla sentenza, all’epoca dei fatti la figlia era ormai maggiorenne; risulta chiaro che la stessa non fosse inabile al lavoro, tanto che svolgeva un lavoro con contratto part-time. Dunque non vi è nessun obbligo di mantenimento in capo al genitore

La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato alla pena di legge l’imputato, per il reato di cui all’art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen., per avere, nella specie, omesso di versare le somme stabilite dal giudice in favore della figlia.

I motivi di impugnazione

Avverso il predetto provvedimento, con atto a firma del difensore di fiducia, proponeva ricorso per cassazione, deducendo, preliminarmente, la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione, per avere i giudici di merito errato nell’applicare il disposto dell’art. 570 cod. pen.

A sostegno della propria difesa, lo stesso adduceva, per un verso, di non aver mai tenuto comportamenti contrari all’ordine ed alla morale della famiglia e di non essersi mai sottratto agli obblighi di assistenza relativi alla responsabilità genitoriale; per altro verso, evidenziava come la Corte d’appello avesse errato nell’aver ritenuto integrato il reato, sebbene la figlia fosse maggiorenne e all’epoca dei fatti avesse deciso per libera scelta di abbandonare il domicilio domestico.

Peraltro, l’inadempimento contestato avrebbe riguardato tre sole mensilità, rispetto alle quali avrebbe potuto (dovuto) essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen..

Secondo la difesa, neppure era ravvisabile lo stato di bisogno, posto che all’epoca in cui si instaurava il processo penale a suo carico, la figlia era già maggiorenne ed aveva già raggiunto una condizione di autosufficienza economica; senza tener conto che l’imputato si trovava in oggettive difficoltà economiche.

Ebbene, secondo i giudici della Cassazione il ricorso è fondato.

Giova rilevare – si legge in sentenza – come, secondo il chiaro enunciato normativo, l’art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen. punisca – con le pene stabilite dal primo comma applicate congiuntamente – colui il quale “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro (…)“.

Ne discende che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti: l’onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile, potendo sussistere la fattispecie delittuosa di cui all’art. 388 cod. pen. qualora ricorrano i requisiti previsti da tale norma (segnatamente il compimento di atti fraudolenti diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi) (Sez. 6, n. 895 del 25/11/1993).

D’altra parte, la stessa Corte di Cassazione ha più volte avuto modo di chiarire che il principio secondo cui l’inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma secondo, impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta negli artt. 2 e 12 della I. n. 118 del 1971, come totale e permanente inabilità lavorativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente il reato, in quanto al figlio maggiorenne, a cui l’imputato aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, era stata riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 75%). (Sez. 6, n. 23581 del 13/02/2013).

Ebbene, nel caso in esame, alla luce di quanto esposto, era evidente l’assenza dei presupposti per considerare sussistente il reato a lui ascritto. Come si evince dalla sentenza, alla data dell’inizio del delitto permanente, la figlia era ormai maggiorenne; d’altra parte, dalla ricostruzione in fatto tratteggiata in motivazione, risulta chiaro che la ragazza non era inabile al lavoro, tanto che svolgeva un lavoro con contratto part-time.

La redazione giuridica

 

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