Patto di quota lite dell’Avvocato è valido se la stima tra il compenso e il risultato è equa (Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 2022, n. 28914).

Patto di quota lite dell’Avvocato è valido se proporzionato rispetto alla tariffa di mercato.

«Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione del terzo comma dell’art. 2233 c.c. operata dal d.l. n. 223/2006 e succ. conv. e prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, comma 4, l. n. 247/2012 che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art. 1262 c.c. è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell’equità alla stregua della regola integrativa di cui all’art. 45 codice deontologico forense, nel testo deliberato il 16 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all’epoca della conclusione dell’accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo allo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali».

Gli Assistiti dell’Avvocato proponevano ricorso per Cassazione articolato in sei motivi avverso l’ordinanza del Tribunale che rigettava le opposizioni da questi ultimi formulate avverso due decreti ingiuntivi emessi su domanda dei loro due difensori. In particolare, le pretese dei due Avvocati trovavano fondamento in un “patto di quota lite” contenuto in una scrittura privata e correlata all’attività professionale svolta nell’ambito di un giudizio civile per il risarcimento dei danni da morte di un congiunto.

Gli Avvocati resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale.

La suprema Corte ritiene fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso proposti dai ricorrenti che denunciavano la falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., l’erronea interpretazione della domanda proposta, nonché la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2233, comma 2, c.c. e/o degli artt. 43 e 45 codice deontologico forense dovendosi intendere integrata la domanda di riduzione ad equità dalla pretesa articolata in via subordinata dalle opponenti di limitare i compensi professionali all’attività effettivamente prestata nei limiti dei parametri tariffari vigenti.

La vicenda riguarda il patto di quota lite stipulato nel 2009.

Gli Ermellini danno atto dell’art. 45 del codice deontologico forense, nel testo modificato con delibera CNF del 18 gennaio 2007 (tramutatosi poi nel novellato art. 29, comma 4), il quale consentiva all’Avvocato di pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’art. 1261 c.c., ma sempre che gli stessi compensi fossero “proporzionati all’attività svolta”.

La ragionevolezza del limite deontologico di proporzionalità all’attività svolta della misura del compenso parametrato agli esiti del processo, evidenzia la Suprema Corte, fu messa in dubbio sulla base dell’aleatorietà del patto di quota lite, il cui sinallagma non consente di preservare una corrispettività economica commutativa tra carico professionale e sua retribuzione da valutare al momento della stipula dell’accordo e, quindi, semmai anche prima dell’inizio della causa.

Inoltre, il Collegio richiamando le Sezioni Unite, ritiene che in tema di impugnazioni delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, si ritiene che la prescrizione dell’art. 45 del codice deontologico (da leggersi unitamente alla previsione dell’art. 43, punto II dello stesso codice) avesse inteso «prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui” nel senso che “la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimanessero “l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante».

Ergo, «l’aleatorietà dell’accordo quotalizio non esclude la possibilità di valutarne l’equità: se cioè la stima effettuata dalle parti era, all’epoca della conclusione dell’accordo che lega compenso e risultato, ragionevole,  o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare, del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell’assunzione del rischio»

Conclusivamente è errato quanto affermato dal Giudice di merito nella motivazione, secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza dell’art. 2, comma 1, lettera a), d.l. n. 223/2006 e succ. mod. può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari, non deponendo in senso contrario né precetti riferibili ad un interesse generale, né violazioni del codice deontologico, né le eventuali sproporzioni tra il compenso pattuito e la prestazione professionale resa, mai potendo tale sproporzione comportare “una non prevista nullità del patto, ma al limite, una riconduzione ad equità”.

La sentenza impugnata viene cassata con rinvio.

Avv. Emanuela Foligno

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