Confermata la condanna al pagamento di una multa di 2mila euro a un indiano della religione Sikh che andava in giro con un pugnale Kirpan attaccato alla cintura

E’ “essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”.
Il principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 24084/2017. La vicenda su cui i Giudici Ermellini sono stati chiamati a pronunciarsi è quella di un cittadino indiano, condannato a pagare una multa di 2mila euro per essere stato sorpreso mentre si aggirava, senza un giustificato motivo, con un coltello lungo 18 centimetri e mezzo e, per le sue caratteristiche, idoneo all’offesa.
Il coltello in questione era un pugnale Kirpan, uno dei simboli della religione monoteista Sikh, alla quale l’indiano apparteneva. L’uomo è quindi ricorso per cassazione cercando di far valere l’appartenenza religiosa come giustificazione al porto dell’arma, invocando peraltro l’articolo 19 della nostra Costituzione, in base al quale “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
I Giudici del Palazzaccio, tuttavia, non hanno ritenuto di accogliere l’impugnazione proposta. L’articolo 19 della Carta costituzionale, infatti, incontra dei limiti che la legislazione pone in vista della tutela di altre esigenze, come quella della pacifica convivenza e della sicurezza. La sicurezza pubblica, in particolare, rappresenta un bene da tutelare ed è proprio a tal fine che il nostro ordinamento pone il divieto di porto di armi e di oggetti atti ad offendere.
Per la Cassazione, quindi, la decisione consapevole di stabilirsi in una società i cui valori sono diversi da quelli della società di provenienza “ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”.

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