Interruzione della gravidanza volontaria causa gravi lesioni (Tribunale Parma, Ordinanza  4/4/2023 ex art. 702 ter c.p.c., RG n. 2780/2022).

Perforazione uterina e intestinale provocate dall’interruzione della gravidanza volontaria.

La paziente propone ricorso ex art. 702bis c.p.c., anticipato da ATP, nei confronti della Struttura sanitaria, deducendone la responsabilità per i danni patrimoniali e non patrimoniali riportati a seguito dell’intervento chirurgico di interruzione volontaria di gravidanza.

polizza.

Nel procedimento ex art. 696 cpc i Consulenti  hanno accertato: “Alla luce di quanto sino ad ora affermato si ritiene pertanto come siano identificabili in capo ai sanitari che ebbero in cura la Sig.ra profili di inadeguata condotta in relazione alla esecuzione tecnica dell’intervento di IVG del 25/09/2019 con perforazione uterina e intestinale ed in relazione ad una ritardata gestione dell’evento avverso stesso, da ritenere prevedibile, oltre che prevenibile ed evitabile. Il danno causalmente riconducibile a tal inadeguate condotte è rappresentato anatomicamente dalla perdita di porzione intestinale, da cicatrice ombelico pubica ed in fossa iliaca destra conseguente agli interventi resisi necessari a seguito degli eventi in esame, tenuto altresì conto di una maggior debolezza della parete addominale e di maggior aderenze intraperitoneali. Sotto il profilo della sintomatologia e funzionalità intestinale, è documentato da certificazione chirurgica del 12/02/2021 la presenza di “diarrea scarsa e frequente..diarrea paradossa in paz con grossi fecalomi in ampolla..” e necessità di terapia specifica: medesima sintomatologia è riscontrabile anche nei certificati psichiatrici del periodo 19/11/2019-05/06/2020. Documentata altresì la perdita di peso. Tale certificazione attesta peraltro l’insorgenza inizialmente di problematiche connesse ai rischi corsi per le vicende in esame, con sentimenti di angoscia e di disturbo del sonno anche in relazione al dolore patito; tali problematiche sembrano poi aver virato verso situazioni connesse all’accettazione dello stato fisico, dei disturbi intestinali, delle cicatrici chirurgiche. E’ documentato il ricorso a periodo di cure in ambito psichiatrico anche come trattamento farmacologico, che ora la Sig.ra riferisce di aver globalmente interrotto.”

Alla luce di quanto sopra, e tenuto conto degli esiti anatomici, funzionali, del negativo pregiudizio di natura estetica connesso in particolare agli esiti cicatriziali addominali in soggetto di sesso femminile, veniva riconosciuto nel procedimento di ATP un danno permanente biologico causalmente riconducibile ad inadeguata condotta in misura pari al 25-26% (venticinque-ventisei), comprensivo delle manifestazioni ansiose.

La negligenza nell’esecuzione dell’intervento chirurgico di interruzione della gravidanza è stata motivata dai Consulenti come segue: “Dai dati di letteratura sovra analizzati, è emerso pertanto come la perforazione uterina sia evento avverso previsto, ma non così frequente, di cui non è sempre agevole riconoscerne la causa ma che risulta essenzialmente legato a diversi fattori, tra i quali è ricompreso, in una percentuale significativa, quello operatore dipendente: viene infatti presa in considerazione la perforazione uterina a seguito di dilatazione cervicale per passaggio brusco dell’Hegar; così come è contemplata nella fase del curettage l’azione traumatica di pinza ad anelli usata per il distacco della placenta e dell’embrione. Nel caso di specie tale procedura risultò difficoltosa, tanto che il Ginecologo nel referto operatorio scrisse che tale difficoltà poteva far pensare ad accretismo, ovvero ad una abnorme aderenza della placenta alla parete uterina. Verosimile ritenere come nel caso di specie le 3 precedenti gravidanze e le 2 interruzioni possano aver reso difficoltoso tale distacco, che proprio per tale motivo, alla luce anche della procedura chirurgica scelta (abbinamento di aspirazione e curettage) richiedeva maggiore prudenza esecutiva, che non si ritiene posta in atto. Infatti, al momento dell’intervento chirurgico espletato per quadro peritonitico in data 26/09/2019 fu descritta una soluzione di continuo della parete uterina di 1,5 cm e una breccia nella parete cecale contrapposta da cui fuoriusciva materiale fecale: all’esame istologico risultò di ben 4 cm; riporta infatti l’esame “tratto ileocecale di cm 18 di lunghezza, in prossimità del ceco la parete appare lacerata per un tratto di cm 4 di lunghezza”. L’importanza della lacerazione in termini di estensione viene ribadita anche dai Chirurghi che espletarono l’intervento laparotomico in data 26/09/2019: cita infatti il referto operatorio “…in considerazione del quadro peritonitico, delle dimensioni della lacerazione e della sede si opta per resezione ileo colica e derivazione intestinale..”.

Tali lesioni, continuano i CTU, “ non possono essere derubricate sotto la voce di semplice complicanza, ma vanno considerate come conseguenza di una inadeguata esecuzione tecnica connessa ad una manovra incongrua ed eccessivamente “vigorosa” in un caso in cui era richiesta maggiore prudenza nell’esecuzione e che ha interessato sia la parete uterina che quella intestinale……….(..)….  Come chiaramente emerge dalla cartella clinica, la Sig.ra  iniziò precocemente a lamentare dolore addominale dopo l’intervento di interruzione della gravidanza. Infatti, terminato l’intervento alle ore 12.36, è riferita circa alle ore 16.00 nel diario infermieristico la comparsa di dolore, per cui era già stato allertato il Ginecologo…… alle ore 17.45 fu somministrata una fiala di Toradol. Alle ore 19.00 in maniera univoca, sia nel diario clinico che infermieristico, emerge “..forte dolore addominale nonostante la somministrazione di Perfalgan alle ore 13 e Toradol alle ore 17…Alle ore 19.20 il Ginecologo certifica: “..la paziente lamenta algia addomino pelviche. l’addome è dolente alla palpazione profonda, abbastanza trattabile alla palpazione superficiale, Bloomberg + nei quadranti inferiori..”, per cui richiese emocromo ed ecoTV di supporto. L’ecografia rilevò “..cavità uterina modicamente dilatata con all’interno modesti residui coriali/placentari adesi alla parete anteriore. Non si osservano chiare soluzioni di continuità della parete fundica. Modesto versamento anecogeno non corpus colato nel Douglas quantificabile in 30-40 cc”.

Alle ore 20.45 dello stesso giorno il sospetto di perforazione uterina viene certificato in cartella, informando la paziente e i familiari che sarà probabilmente necessaria una “laparoscopia diagnostica per sospetta perforazione uterina”. Tuttavia, sino alla mattina seguente, non furono espletati ulteriori controlli o provvedimenti, e si decideva per l’opzione chirurgica  visto l’aggravamento della sintomatologia addominale e l’importante rialzo della PCR.

“Vero che l’ecografia fu refertata come negativa, ma in considerazione dei limiti dell’esame stesso, alla luce della persistente sintomatologia e dei riscontri clinici, sarebbe stato esigibile un prudente atteggiamento con esecuzione di TAC addominale, che avrebbe permesso di evidenziare la perforazione cecale mediante la presenza di aria libera in addome. Ciò non fu fatto, nonostante il Ginecologo avesse già manifestato il sospetto di una perforazione uterina, e anzi la valutazione della paziente fu addirittura procrastinata alla mattina successiva (ben 12 ore dopo), permettendo al quadro peritonitico di progredire ed espandersi.

Se fosse stata eseguita una TAC addome in data 25/09, in presenza della sola peritonite chimica, è verosimile ritenere che si sarebbe potuto eseguire nel corso dell’immediato intervento, la semplice sutura delle 2 brecce: non solo quella sull’utero, ma anche quella sul ceco, evitando in tal modo la resezione ileocecale.

Di talchè emerge un duplice profilo di negligenza:

-In primo luogo le lesioni riportate dalla donna sono causalmente riconducibili ad una inadeguata esecuzione tecnica connessa ad una manovra incongrua ed eccessivamente “vigorosa” in un caso in cui era richiesta maggiore prudenza nell’esecuzione e che ha interessato sia la parete uterina che quella intestinale.

-In secondo luogo, in considerazione della persistente sintomatologia e dei riscontri clinici, sarebbe stato esigibile un prudente atteggiamento da parte del Ginecologo e dei sanitari  che presero in carico la paziente per il decorso post- operatorio e che già dalla sera del 25 settembre 2019 doveva essere prescritta una TAC addominale, che avrebbe permesso di evidenziare la perforazione cecale mediante la presenza di aria libera in addome, negligenza che assume ancora maggiore rilievo poiché il Ginecologo aveva già manifestato il sospetto di una perforazione uterina, e anzi la valutazione della paziente fu addirittura procrastinata alla mattina del 26 settembre 2019.

Se già il 25 settembre si eseguiva una TAC si poteva eseguire immediatamente intervento per la semplice sutura delle 2 brecce: non solo quella sull’utero, ma anche quella sul ceco, evitando in tal modo la resezione ileocecale.

Sulla scorta di ciò, il Tribunale condanna i convenuti a risarcire il danno patito dalla donna, come accertato dall’ATP nella misura del 25%

Respinta, infine, la domanda il risarcimento del danno correlato alla mancanza di consenso, poiché la ricorrente lo ha allegato in termini di totale genericità.

Avv. Emanuela Foligno

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