Omessa rimozione di barriere architettoniche (Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2023, n. 17138).

Condannati per discriminazione, l’amministratore di condominio e la società costruttrice dell’edificio, per omessa rimozione di barriere architettoniche.

La decisione a commento si presenta molto interessante, anche sotto il profilo della creazione di precedente.

Con ricorso ex L. n. 67 del 2006, art. 3 proposto nel 2012 dinanzi al Tribunale di Lecce, l’attore deduceva di essere affetto da handicap in situazione di gravità ed invalido civile al 100% con indennità di accompagnamento ed espose che i convenuti avevano posto in essere nei suoi confronti atti e comportamenti gravemente discriminatori, avendogli precluso di fruire, a causa della illegittima presenza di barriere architettoniche nell’edificio, in cui era situato l’appartamento acquistato nel 2000 dalla sorella con cui viveva stabilmente; del suo diritto al miglior stato di salute fisica e psichica conseguibile; nonché per avere, mediante innumerevoli ulteriori atti e comportamenti discriminatori, protratti per oltre undici anni ed ancora sussistenti al momento della proposizione della domanda, impedito e/o limitato arbitrariamente l’esercizio e la fruizione dei suoi diritti rispetto ai correlativi diritti dei soggetti normodotati.

Il Tribunale, riteneva parzialmente fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, ritenendoli responsabili per i fatti successivi. Riteneva, inoltre, sussistente la responsabilità del Comune per avere rilasciato “la concessione edilizia in sanatoria, ed il permesso di agibilità, malgrado l’edificio non fosse conforme alle prescrizioni di cui alla legge n.13 del 1989, e dell’amministratore di condominio per violazione dei doveri su di lui incombenti.

L’ordinanza, veniva impugnata dal Comune.  La Corte di Appello accoglieva parzialmente il gravame del Comune sul profilo della quantificazione del danno riconosciuto: dopo aver ribadito la configurabilità dei danni nell’ambito del danno morale ed esistenziale, liquidabili in via equitativa ex art. 1226 c.c., considerava che l’immobile era adibito a residenza secondaria e che l’uso paritetico della residenza abituale e della dimora secondaria comportava che le voci di danno poste a carico del Comune, ferma la quantificazione per annualità, operata dal primo Giudice, venissero ridotte del 50%, così determinando la somma dovuta in Euro 3.000,00= annue (Euro 1.500,00= per danno morale e Euro 1.500,00= per danno esistenziale) a decorrere dal 2001.

Il Comune propone ricorso per Cassazione con quattro censure; la Società costruttrice propone ricorso incidentale.

Gli Ermellii, preliminarmente, passano al vaglio le tipologie di discriminazione previste dall’art. 2  della L. 67/2006.

a) discriminazione diretta, quando una persona disabile viene trattata in modo diverso, in diritto o in fatto, rispetto a un soggetto abile;

b) discriminazione indiretta, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri, mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ai soggetti abili;

c) le molestie, ovvero i comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che creino un clima di intimidazione, umiliazione, offesa o ostilità nei confronti della persona disabile.

E’ corretta l’interpretazione dei Giudici di Appello secondo cui il Comune non può essere tacciato da responsabilità per avere rilasciato la concessione edilizia in sanatoria e il permesso di agibilità (quest’ultimo poi annullato dal TAR). Tali atti amministrativi sono intervenuti in epoca successiva, la condotta discriminatoria ricade unicamente a carico del costruttore e dell’amministratore di condominio, venuti meno ai loro doveri: l’ente locale avrebbe solo consentito il protrarsi dell’illecito, che si sarebbe in ogni caso consumato anche senza il suo intervento.

Avv. Emanuela Foligno

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