Intervento di cataratta e distacco di retina (Cassazione civile, sez. III, 15/11/2023, n.31802).

Intervento di cataratta e successivo distacco di retina al medesimo occhio.

Vengono convenute in giudizio L’ASP e l’Azienda Ospedaliera per la loro condanna al risarcimento dei danni conseguenti a due interventi chirurgici subiti dal paziente che si ritiene danneggiato.

A sostegno della domanda esponeva di essere stato operato presso l’Ospedale per un intervento di cataratta all’occhio sinistro, che le sue condizioni visive erano peggiorate e che era stato poi sottoposto ad un secondo intervento per un distacco di retina nel medesimo occhio.

Il Tribunale rigettava la domanda proposta contro l’Azienda Sanitaria Provinciale e accoglieva quella proposta contro l’Azienda ospedaliera condannandola al risarcimento dei danni per l’importo di Euro 43.160,93.

Successivamente, la Corte d’Appello di Catania rigettava le domande del paziente. Ha osservato la Corte, per quanto di interesse, che in base alle due C.T.U. espletate, l’una in sede di ATP e l’altra in corso di causa, era emerso che doveva ritenersi esclusa qualsiasi responsabilità sanitaria per quanto occorso al paziente. Nel corso dell’intervento di cataratta, infatti, non si era verificato alcun distacco di retina, come emergeva dai successivi plurimi controlli effettuati; il distacco della retina e il successivo distacco di coroide erano da ricondurre, secondo la Corte d’appello, alle complicanze dell’intervento di cataratta e al successivo cerchiaggio e piombaggio, evento quest’ultimo che si verifica nel 40 %  dei casi.

La decisione viene impugnata in Cassazione.  Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe censurabile sotto due diversi profili. In primo luogo, per non aver riconosciuto la sussistenza di una responsabilità professionale dei sanitari , i quali non avrebbero percepito l’esistenza delle complicazioni successive al primo intervento di cataratta; i medici, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto accertare il distacco di retina, conseguente all’intervento, prima che lo stesso apportasse danni irreversibili. In secondo luogo, il ricorrente lamenta che la sentenza avrebbe erroneamente escluso il diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto all’autodeterminazione. Trattandosi, infatti, di un diritto diverso da quello alla salute, la lesione dello stesso darebbe diritto ad un risarcimento ex se, cioè in via indipendente rispetto agli esiti dell’intervento.

 La Corte di Cassazione rileva che il ricorso è inammissibile per tardività.

La sentenza impugnata è stata depositata il 6 marzo 2020; calcolando la sospensione dei termini a causa della normativa di emergenza sul Covid-19 – sospensione che è di 64 giorni – i termini per la proposizione del ricorso andavano a scadere di giovedì, mentre il ricorso fu proposto il sabato, cioè dopo 2 giorni. Di tanto è consapevole lo stesso ricorrente, il quale ha presentato un’istanza chiedendo di essere rimesso in termini perché, a suo dire, dal pomeriggio del 10 dicembre il Difensore si sarebbe messo in autoisolamento a causa della febbre e del conseguente rischio Covid.

Rileva la S.C. che – anche tralasciando il fatto che l’impedimento rappresentato dal difensore del ricorrente non può essere definito assoluto, perché egli aveva a disposizione certamente qualcuno (dipendente dello studio o collega) che ben avrebbe potuto recarsi all’ufficio postale a spedire il ricorso.

 Il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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