Intossicazione da gas diagnosticata come intossicazione alimentare (Cassazione civile, sez. III, dep. 19/07/2023, n.21335).

A causa di un malfunzionamento della caldaia, si verificava una fuoriuscita di gas che provocava una forte intossicazione degli attori.  Gli stessi chiedevano l’intervento della Guardia Medica, e venivano visitati dalla Dottoressa di turno che li dimetteva con la diagnosi di “intossicazione alimentare” e la prescrizione di un farmaco. Successivamente, aggravatisi i sintomi, gli attori venivano ricoverati in ospedale per diverso tempo ed in diversi reparti.

L’azione civile risarcitoria veniva posta in essere contro la locatrice e contro la Dott.ssa della Guardia Medica e la ASL di Bari, chiedendo ciascuno la propria parte di danno personale subito sia per l’intossicazione, che per l’errata diagnosi inizialmente fatta dalla guardia medica.

Il Tribunale di Trani disponeva due CTU, la prima sul funzionamento della caldaia e dunque sulle cause della fuoriuscita di gas, la seconda sui danni fisici riportati dagli attori, e concludeva per un concorso di colpa sia della locatrice (35%), che non aveva dotato la caldaia di aperture per la fuoriuscita del gas, sia degli stessi danneggiati (30%) per omessa manutenzione ordinaria della caldaia, ed infine al Medico della Guardia Medica nella misura del 30% per le conseguenze dovute alla errata diagnosi.

Avverso tale sentenza ha proposto appello principale la locatrice, e appello incidentale le altre parti.

La Corte di Appello di Bari cosi’ decideva :  rigettava l’appello principale della proprietaria dell’immobile,  ribadendo il concorso di quest’ultima nella causa del danno nella misura del 35%; e rigettava  gli altri appelli incidentali.

La vicenda approda in Cassazione.

La figlia del conduttore (anch’essa danneggiata dalla intossicazione di gas poiché presente nell’appartamento), aveva agito inizialmente con il medesimo atto insieme ai genitori ed al fratello, chiedendo il risarcimento dei danni propri. La domanda è stata accolta, avendo il Tribunale ritenuto responsabili dei danni sia il padre della ragazza (che era pure attore) per il 35%, che la locatrice (35%) che infine la Dottoressa (30%).

In appello,  la medesima  ha chiesto che il 70% diviso tra il padre e la locatrice fosse corrisposto interamente da quest’ultima, salvo il suo regresso poi verso il padre per la quota parte.

I Giudici di Appello ritenevano che la domanda fatta in appello di gravare dell’intero 70% la locatrice, salvo il diritto di costei di rivalersi poi sul condebitore per il restante dovuto, era domanda compresa in quella formulata in primo grado di risarcimento di tutti i danni subiti in proprio dalla ragazza.

La ragazza, appellante incidentale,  in primo grado si è vista riconoscere il risarcimento preteso,  risarcimento che è stato suddiviso come si è detto tra tre debitori in solido (35,35,30), ha agito per chiedere che il 70% di tale risarcimento venisse corrisposto dalla locatrice, salvo il diritto di quest’ultima di recuperare il 35% poi dal padre.

In sostanza, il risarcimento a favore della ricorrente era stato posto a carico di tre soggetti: la locatrice, per il 35%, il padr., per il 35%, e la Dott.ssa per il 30%.

Inteso in questi termini, l’appello è inammissibile per difetto di interesse. Infatti la ragazza non ha chiesto una riformulazione del riparto interno, tra debitori, della responsabilità di ciascuno, ossia non ha chiesto che fosse rivisto il contributo di ciascuno dei debitori in solido.

Quando anche avesse fatto una simile richiesta, essa sarebbe stata parimenti priva di interesse: il creditore non ha interesse, in sostanza, a che il contributo di ciascun debitore in solido venga accertato diversamente, poiché il creditore può esigere l’intero da ciascuno dei debitori in solido, e la questione di come si ripartisca poi il risarcimento tra i debitori, è questione che riguarda costoro, e non lui.

In altri termini, quale sia il riparto interno della responsabilità solidale è questione che non riguarda il creditore, che dunque non ha interesse a farla accertare in un modo anziché in un altro: egli ha il diritto di chiedere l’intero ad uno solo dei debitori, essendo poi onere di costui agire in regresso per farsi ripagare di quell’intero dagli altri.

Si tratta della pretesa di ottenere il pagamento da uno solo dei debitori in solido anziché da due: pretesa che è connaturale alla obbligazione solidale, e che dunque non va fatta valere con una impugnazione, la quale peraltro presuppone una soccombenza nel grado precedente.

Per quanto concerne la responsabilità, invece, viene impugnato il capo della sentenza in cui il giudice di appello, sulla scorta della CTU fatta in primo grado, ha ritenuto che la responsabilità per le esalazioni dalla caldaia andassero ripartite tra la proprietaria (locatrice) ed il conduttore: la prima, in quanto non aveva realizzato degli sfoghi per il gas, il secondo per avere omesso la necessaria manutenzione della caldaia.

Ritengono i ricorrenti che sia obbligo del locatore risarcire i danni da vizi della cosa, istituendolo dunque come unico responsabile di tali danni. Nell’attribuire invece parte della responsabilità ai ricorrenti, i Giudici di merito avrebbero violato tale regola.

La censura è infondata.

I Giudici di merito hanno accertato che i danni non sono derivati solo da vizi della caldaia, bensì anche da difetti di manutenzione della medesima, addebitabili, per l’appunto, al conduttore.

La proprietaria dell’immobile, invece, sostiene che le strutture murarie ed i beni in esse conglobati siano nella custodia del conduttore e non già del locatore. Inoltre, sostiene che la tesi del CTU, fatta propria dai Giudici, secondo cui la mancanza di aereazione avrebbe favorito l’intossicazione, è errata in quanto non può dirsi che l’assenza di fori di aereazione sia in relazione causale con l’evento.

Il motivo è infondato e inammissibile riguardo il rapporto di custodia intercorrente tra locatore e la cosa. E’ principio di diritto che il locatore mantiene il potere di controllo sugli impianti conglobati, e tra gli impianti conglobati ci sono senz’altro quelli di riscaldamento. Ad ogni modo, sottolineano gli Ermellini, nel caso di specie il locatore è stato ritenuto responsabile non già per omessa custodia sulla caldaia, ma per un difetto di sua realizzazione, ossia per non averla dotata di fori di aereazione, e per avere realizzato una strozzatura sulla canna fumaria. Dunque, per un fatto che dimostra disponibilità della cosa, al di là di come essa sia intesa nel complesso della intera struttura.

In altri termini,  il locatore può considerarsi custode ove di fatto abbia avuto la possibilità di intervenire sulla cosa modificandola in un certo modo: ingerendosi nella gestione della cosa il locatore diventa custode a sua volta.

OSSERVAZIONI

La decisione a commento è meritevole di attenzione, al di là dell’aspetto della responsabilità medica, per le ragioni che seguono.

Vengono, infatti, passati al vaglio interessanti tematiche giuridiche : l’obbligazione solidale dei debitori; il riparto della responsabilità; il rapporto tra potere di controllo del locatore e la disponibilità della cosa, ex art. 2051 c.c.

Soprattutto quest’ultimo aspetto si presenta alquanto singolare nel caso esaminato. La fonte del danno deriva dalla caldaia, ovverosia da un manufatto che è nella esclusiva disponibilità del conduttore.

Fermo e impregiudicato il principio di diritto secondo cui il proprietario dell’immobile, anche in caso di locazione, mantiene il potere di controllo sugli impianti dello stesso,  nel caso specifico il locatore è stato ritenuto responsabile non per omessa custodia sulla caldaia, da intendersi in senso stretto affluente ai doveri di cui all’art. 2051 c.c., ma per un difetto di realizzazione della caldaia medesima perché non dotata di sbocchi di aereazione. Tale circostanza dimostra la “disponibilità” della caldaia in questione.

Avv. Emanuela Foligno

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