Broncopneumopatia cronica di grado severo (Tribunale Roma, Sentenza n. 4477/2023 pubblicata il 20/03/2023).

Il paziente veniva ricoverato per la Casa d Cura privata con diagnosi di accettazione di “disturbo bipolare, episodio depressivo”. Lo stesso era affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

Dopo alcuni giorni venivano annotate in cartella la presenza di tosse persistente e dispnea; in data 31 gennaio 2013 il paziente veniva descritto depresso e pertanto si modificava la terapia; nel pomeriggio del 31 gennaio 2013 insorgeva febbre a 38,5° e veniva riscontrata la presenza di respiro affannoso; il successivo 1 febbraio 2013 il paziente appariva inquieto e all’osservazione clinica presentava dispnea ingravescente ed alvo diarroico. Si allertava, dunque, il 118 per il trasferimento presso il Pronto Soccorso,  nella lettera di trasferimento era testualmente riportato: “si invia presso la vostra osservazione il paziente di 61 anni, portatore di una broncopneumopatia cronica di grado severo. Il paziente presenta SpO2 pari al 76%, iniziata ossigenoterapia con risoluzione della desaturazione. Ricontrollata SpO2 dopo 30 minuti presentava SPO2 pari al 76%; dispnea ingravescente ; alvo diarroico”.

Il paziente veniva ricoverato presso il Reparto di Medicina Generale; eseguito RX torace, veniva riscontrata accentuazione del disegno polmonare alle basi polmonari per modificazioni bronchitiche, nessun addensamento broncopneumatico né falde di versamento pleurico; in data 2 febbraio 2013 il paziente veniva sottoposto a nuovo Rx torace, sovrapponibile al precedente, ma i valori degli esami ematochimici rilevavano un’infezione batterica severa, stante la riscontrata presenza di Streptococcus pneumoniae nelle urine; nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 2013, viste le condizioni respiratorie del paziente che non rispondeva alla ventilazione meccanica fino a quel momento praticata, si decideva per il trasferimento del paziente in rianimazione; durante il periodo di rianimazione il paziente veniva sottoposto a IOT e a ventilazione assistita; persistendo lo stato febbrile, considerato altresì il peggioramento del quadro emogasanalitico, il paziente veniva sottoposto a TAC torace senza mezzo di contrasto; le condizioni del paziente peggioravano progressivamente, sia avuto riguardo alla persistenza dello stato febbrile, sia in relazione all’esito positivo dei riscontri colturali, essendo stata riscontrata la presenza di Acinetobacter baumanii; di Klebsiella pneumoniae; di Proteus ; di Klebsiella pneumoniae MDR ; di Staphyilococcus epidermidis; il quadro clinico peggiorava, con febbre alta, formazione di decubiti calcaneari, si procedeva dunque a tracheostomia; in data 22 aprile 2013 veniva eseguito un controllo TAC toracico senza mezzo di contrasto ed una TAC cranio; detti esami venivano ripetuti  con mezzo di contrasto e rilevavano alterazione litica D6- D7 compatibile con un quadro di spondilodiscite.

In data 7 maggio 2013 il paziente subiva un arresto cardiocircolatorio e decedeva; nella scheda di morte era riportato: “broncopneumopatia cronica ostruttiva; broncopolmonite acuta; insufficienza respiratoria acuta; disfunzione multiorgano; altri stati morbosi rilevanti: distimia endogena bipolare, poliposi del colon.”

Gli attori deducono la responsabilità della Casa di Cura poiché si presentava durante il ricovero un quadro infettivo anche alla luce delle risultanze degli esami emotochimici e colturali (presenza di Streptococcus pneumoniae nelle urine) eseguiti all’accesso al Pronto Soccorso della seconda Struttura;  di poi, in riferimento alla seconda Struttura, il paziente aveva contratto una pluralità di infezioni di origine nosocomiale, infezioni agevolate, quanto all’insorgenza, dalla ventilazione meccanica assistita.

La struttura privata contesta la propria responsabiilità deducendo l’assenza di manovre invasive praticate al paziente; la seconda struttura deduce che la complicanza infettiva era insorta in un quadro di BPCO severa. Il paziente giungeva all’osservazione già affetto da quest’evoluzione morbosa della sua condizione di base.

Dalla CTU espletata, per quanto riguarda la Casa di Cura privata, i Consulenti hanno svolto la distinzione tra polmonite comunitaria e polmonite nosocomiale. “Questa distinzione rispetto alle polmoniti di comunità è fondamentale ai fini di un corretto approccio terapeutico soprattutto in fase empirica. Nelle polmoniti di comunità i germi responsabili sono in genere sensibili agli antibiotici di uso comune. Le polmoniti associate all’assistenza sanitaria sono quindi un’ulteriore conseguenza della colonizzazione dei pazienti assistiti, dove entrano in gioco non soltanto i fattori di contaminazione ambientale ma anche la diffusione dei germi da parte del personale sanitario in situazioni di carente applicazione delle procedure di prevenzione di base. La documentate eziologia da germi multi- resistenti è anche in questo caso evidenza di origine dell’infezione dall’assistenza sanitaria ricevuta……il sintomo respiratorio della tosse persistente non è stato adeguatamente considerato ed è stato curato soltanto con sedativi. Dagli atti si evidenzia che a tale disturbo respiratorio non è stata data adeguata valutazione clinica nel senso di un approfondimento diagnostico……fa supporre che sanitari della Casa di Cura abbiano interpretato la tosse, la febbre e la dispnea con una riacutizzazione bronchitica della BPCO , o un’asma cardiaco, ma non come polmonite”.

In sintesi, il collegio peritale, ha ritenuto che, con molta probabilità, la polmonite sia insorta presso la Casa di Cura , e che si sia trattato di una polmonite di comunità insorta quale complicanza della bronchite acuta non risolta; tale polmonite poteva essere diagnosticata, almeno ipotizzata, tramite le comuni indagini cliniche e strumentali, quali l’esame radiologico del torace, esame radiologico che era utile e necessario effettuare in considerazione della persistenza della tosse produttiva e del riscontro obiettivo dell’aggravamento del quadro clinico toracico.

La omessa diagnosi della polmonite, ha poi innescato una vera e propria sequenza causale caratterizzata dalla contrazione di plurime infezioni nosocomiali presso la seconda Struttura, ma anche la trasformazione della polmonite da comunitaria in nosocomiale .

Per quanto riguarda l’Ospedale, dopo la ripetuta effettuazione di esami radiologici (Rx torace) con esito negativo, in data 7 febbraio 2013 la TAC del torace mostra alcuni addensamenti parenchimali con broncoaereo localizzato in corrispondenza del lobo medio ed in sede lingulare, di verosimile natura flogistica meritevole di correlazione con dati clinico-laboristici. Si ha, in altre parole, una evidenza radiografica di polmonite; ed il riscontro diagnostico di una polmonite nosocomiale.

Il collegio peritale, pur avendo ravvisato l’adeguatezza dell’approccio terapeutico e diagnostico da parte della seconda struttura, ha rilevato la non tempestività della diagnosi rispetto alla situazione del paziente: “……La terapia e l’accertamento effettuati presso l’Ospedale sono stati adeguati e corretti ma non tempestivi, in considerazione dello stato di gravità clinica dell’insufficienza respiratoria del paziente all’ingresso in ospedale…..(….)…..La causa della morte è dunque da inquadrarsi, o meglio, eziologicamente da riconnettere, secondo il criterio del più probabile che non, ad una polmonite batterica da batteri multiresistenti, tipicamente nosocomiali, sia per le loro caratteristiche di insorgenza (si rendono evidenti dopo oltre quarantott’ore dal ricovero) che per quelle di resistenza ai trattamenti antibiotici.”

Pertanto, sussiste anche in capo alla seconda Struttura la responsabilità nel decesso del paziente, poiché la stessa non ha fornito la prova di avere adottato in concreto i protocolli di sanificazione e sterilizzazione degli ambienti ospedalieri durante il periodo di ricovero del paziente nell’ottica generale di prevenzione delle infezioni ospedaliere.

Per tali ragioni viene affermata la responsabilità solidale delle due strutture convenute ai sensi dell’art. 2055 c.c.

Avv. Emanuela Foligno

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