Respinto il ricorso di un automobilista condannato per omicidio colposo che invocava la mancanza delle lesività dell’investimento tipico del pedone secondo i criteri medico legali

Il conducente di un veicolo ricorreva per Cassazione contro la condanna per omicidio colposo inflittagli dai Giudici del merito in seguito a un sinistro in conseguenza del quale perdeva la vita un pedone. L’imputato, in particolare, deduceva che la Corte di appello avesse omesso di confrontarsi con le affermazioni del consulente tecnico del P.M. secondo cui nell’episodio erano mancate le lesività di quello che in medicina legale è definito “investimento tipico”, perché vi era stato il riscontro di una lesività riconducibile alla sola fase dell’urto e della proiezione al suolo, mancando quelle tipiche dell’accostamento, del sormontamento e del trascinamento; da ciò derivava che il pedone aveva quasi tagliato la strada alla vettura del ricorrente, il quale, nonostante la bassa velocità tenuta (34 Km/h, quindi ben al di sotto del limite consentito) non poteva avvedersi del sopraggiungere del soggetto investito. L’uomo affermava poi che, all’esito delle acquisizioni probatorie, non risultava che vi fosse stata per lui la concreta possibilità di avvistare il sopraggiungere della vittima.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 7115/2021, ha però ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte, respingendo il ricorso.

Gli Ermellini hanno premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il limite massimo di velocità non va confuso con l’obbligo di adeguare la velocità del veicolo alle particolari circostanze di tempo e dei luoghi. Ne consegue che, mentre detto limite non può in alcun caso essere superato, anche una velocità inferiore può ben risultare inadeguata alle circostanze e costituisce ragione di responsabilità penale per colpa, se si ponga come causa di infortunio alle persone. Inoltre, il conducente ha l’obbligo di ispezionare attentamente tutto il tratto di strada che sta per impegnare; persino l’assenza di strisce pedonali non può indurlo a ritenere che nessun pedone si accingerà ad attraversare la strada, giacché è sufficiente un minimo di esperienza per conoscere perfettamente l’effettiva realtà del traffico e sapere quanto spesso i pedoni attraversano la strada indipendentemente dalle strisce pedonali.

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che “l’imputato ha violato l’obbligo di adeguare la velocità, pur inferiore al limite previsto in quel tratto di strada, alle condizioni di tempo e luogo”.

“La vittima si trovava in prossimità di un attraversamento pedonale e proprio tale circostanza avrebbe dovuto indurre l’imputato a moderare la velocità essendo del tutto prevedibile che vi potessero essere pedoni che attraversavano la strada. Le condizioni di tempo e luogo al momento dell’incidente (strada rettilinea, con illuminazione pubblica e senza alcuna anomalia del manto stradale) consentivano al conducente della vettura, se avesse guidato in modo prudente, di accorgersi del pedone, che certamente non ha posto in essere alcuna azione ‘inattesa o imprevedibile'”.

Dal Palazzaccio hanno poi ricordato che, “poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente”. Ad esempio, anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, “l’automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell’attraversamento”.

L’obbligo derivante dal disposto di cui all’art. 141 C.d.S. deve essere inteso proprio nel senso che il conducente deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui.

La redazione giuridica

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