La consulenza tecnica può assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche.

È quanto, di recente, affermato dai giudici della II Sezione Civile della Cassazione con sentenza n. 17685/2016.

Nella vicenda, riguardante il risarcimento danni a causa di immissioni di rumore, fumi, vibrazioni lamentate dai ricorrenti a causa dell’attività di raccolta e di commercio di materiali ferrosi, la Corte territoriale, aderendo al giudizio del Tribunale, aveva ritenuto che non vi fosse prova certa né del superamento dei limiti di tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., né dei danni al fabbricato nel quale tutta le persone coinvolte nella vicenda abitavano o lavoravano, e neppure che tutto quanto allegato e lamentato cagionasse con nesso eziologico certo un danno alla salute.

Ció in quanto i certificati medici “non fornivano la prova della dimostrazione necessaria sul punto” e pertanto, era stata negata l’ammissione degli “accertamenti peritali” relativi alla valutazione delle immissioni e al danno alla salute. La ctu – dichiaravano i giudici di secondo grado – “non è un mezzo istruttorio” ma sarebbe utilizzabile solo laddove la parte assolva il proprio onere probatorio.

La Cassazione – investita della vicenda – pare non essere, invece, d’accordo con i giudici di merito.

Sarebbe stata doverosa – afferma – una valutazione analitica e approfondita dei riscontri documentali relativi al fatto lamentato (…), la “valutazione sintetica addotta dalla sentenza appare, invece, apodittica nel concludere per l’insufficiente assolvimento dell’onere della prova (…). Trattasi di formula rinunciataria della decisione delle controversie civili che deve essere preceduta e giustificata da un vaglio critico e da uno sforzo conoscitivo e valutativo appropriato mediante opportuno uso delle presunzioni e dei mezzi istruttori che siano nella disponibilità del giudice”.

Dice bene allora il ricorrente, quando lamenta la mancata ammissione di consulenza tecnica volta ad accertare se i danni materiali agli immobili e le patologie cliniche alle persone istanti, circostanze documentate da risultanze di cui si era giá dedotto in certificazioni mediche, fossero direttamente ricollegabili alle lavorazioni effettuate dalla controparte.

Ció in quanto la consulenza tecnica, contrariamente a quanto addotto dai giudici di secondo, grado che di regola non è mezzo di prova, è pur sempre un mezzo istruttorio (CSS. 13401/05; 8297/05; 1120/06).

Non soltanto. Ma, la consulenza tecnica – aggiungono i giudici della Corte -, contrariamente a quanto già stabilito dai primi giudici, può assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche (tra le tante Cass. 4792/2013; 1149/11; 6155/09;1020/06): in tal senso la valutazione del rapporto eziologico tra i fatti documentati in causa e la loro rilevanza sulla solidità dell’immobile e sulla salute degli attori, che lamentano tra l’altro ipertensione e affezioni dermatologiche, appare senz’altro ipotesi ineludibile in cui è indispensabile il confronto specialistico.

Quanto al caso specifico, poi, “la cessazione delle attività moleste non fa venir meno l’obbligatorietà dell’approfondimento istruttorio, che si impone al fine di verificare se sia possibile, mediante l’esame degli atti e adeguate indagini tecniche e anamnestiche, accertare la veridicità delle ipotesi di danno prospettate da chi agisce in giudizio, suffragate da riscontri presuntivi, descritti nel caso di specie dalle stesse sentenze di merito.

Pertanto ha carattere di motivazione apparente quella del giudice che eluda la decisione di merito, rifiutando l’ammissione di consulenza tecnica in queste circostanze.

Avv. Sabrina Caporale

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