Contenuto il decremento rispetto agli anni precedenti ma permangono sostanziali differenze tra categorie

Un milione e 489mila iscritti, 9 miliardi di euro di oneri contributivi raccolti, 465mila prestazioni pagate per un valore complessivo di 5,9 miliardi di euro. Sono alcuni dei numeri che emergono dal VI Report sulle libere professioni e la previdenza privata dell’Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati), presentato nei giorni scorsi e relativo ai dati del 2015.

Gli iscritti agli Enti previdenziali privati aumentano (+ 1.31% rispetto al 2016 e + 21,59% rispetto al 2005), ma non per via dei nuovi ingressi, che diminuiscono (da 63mila nuovi iscritti a 53mila nel 2015), bensì per la permanenza al lavoro dei più anziani. L’età media, infatti, passa da 44 anni del 2005 ai 48 anni del 2015. Aumentano invece le donne iscritte, con un rapporto uomini/donne che cresce costantemente dal 2005 passando dal 70/30 al 65/35.

Lo scorso anno si è registrato un incremento rispetto al 2014 anche degli oneri contributivi (+2%) e dell’ammontare totale delle prestazioni erogate (+ 4,6%).“Il rapporto positivo contributi/prestazioni è un indice di tenuta previdenziale – sottolinea il presidente Adepp, Alberto Oliveti –. Nonostante i due parametri si stiano avvicinando va comunque sottolineato che la distanza è ancora di garanzia”.

Il calo dei redditi che ha contraddistinto gli ultimi anni (-18,4% tra il 2005 e il 2015) si è invece quasi arrestato, con un decremento nominale quasi pari allo zero (- 0,3%). Un dato che può essere letto come un segnale di progressiva uscita dalla crisi. “Vi è però diversità anche sostanziale tra categorie e categorie – evidenzia Oliveti -, restano sempre evidenti i gap di genere, generazionali e geografici”.

Il Centro Studi AdEPP ha calcolato come, sempre prendendo a riferimento i redditi nominali, e ponendo come ipotesi una crescita annua pari all’1%, sarebbero necessari circa 9 anni per poter riassorbire gli effetti della crisi. La stima di crescita utilizzata per poter proiettare i redditi appare coerente con le stime attualmente disponibili relative alle previsioni di crescita media del PIL per il 2017 e il 2018.

Per i medici, tuttavia, gli effetti della crisi degli anni passati sarebbero meno evidenti; l’area sanitaria, in particolare grazie al peso degli iscritti all’Enpam (Quota B), incrementa, in termini nominali, del 25,4%. In controtendenza anche i dati inerenti gli iscritti di INPGI – Gestione Separata Liberi Professionisti –, ENPAV, EPAP ed ENPAIA (periti agrari e agrotecnici) i quali indicano una crescita dei redditi trattati.

Altro dato rilevante che emerge dal Report è la consistente differenza dei redditi delle donne rispetto a quelli dei colleghi uomini; un fenomeno si registra in modo omogeneo su tutto il territorio. Tra il 2014 e il 2015 il decremento percentuale generalizzato del reddito medio degli iscritti di sesso femminile (appartenenti a tutte le regioni di Italia) è nettamente più marcato (-2,04%) rispetto a quello registrato per gli iscritti di sesso maschile (-0,36%). Va notato poi come le professioniste del Trentino Alto Adige abbiano un reddito medio di 3 volte superiore alle colleghe calabresi evidenziando una disparità nord/sud decisamente rilevante.

Infine, il centro studi AdEPP ha condotto un’indagine su 85.000 donne professioniste che nel periodo 2005-2015 hanno avuto almeno un figlio e quindi usufruito del contributo di maternità. Emerge che dopo la maternità il 65% delle mamme ha perso il proprio reddito o lo ha avuto fortemente ridotto. Nel dettaglio, il 15% delle donne è uscita temporaneamente o definitivamente dal mondo professionale; il restante 50% ha avuto invece un decremento medio del reddito del 40%. “Fa male – denuncia Oliveti – leggere che due terzi delle donne, dopo aver avuto un figlio, non recuperano il reddito professionale che avevano e una su sette l’azzera”.

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