Intervista al dottor Massimo Delfino, specialista in Medicina Interna e Malattie Infettive

Tre casi di meningite in Lombardia dove sono morte due studentesse universitarie, uno nel bresciano dove è deceduto in seguito alla contrazione della malattia un imprenditore edile e un caso nel Lazio, a Gaeta,  dove un uomo di 64 anni è stato ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma per sospetta meningite. Il batterio esce dunque fuori dai confini della Toscana, regione che già dal 2014  è stata protagonista di episodi di contagio e ha condotto a una campagna di vaccinazioni in tutto il territorio, caldeggiata ampiamente dall’assessore alla Sanità Stefania Saccardo.

Nonostante l’assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera escluda un allarme meningite, la Regione ha predisposto degli sconti a chi decide di sottoporsi al vaccino, offrendolo al prezzo spuntato della Regione. Eccezione fatta naturalmente per le persone che sono entrate in contatto con le due studentesse decedute. Anche l’Abruzzo si sta attrezzando per aumentare le disponibilità al vaccino, sempre più richiesto dalla popolazione.

Responsabile Civile ha raggiunto il dottor Massimo Delfino, specialista in Medicina Interna e Malattie Infettive, per avere un quadro quanto mai esaustivo sulla situazione attuale.

M.D. Non è cambiato nulla rispetto a prima. Abbiamo di fronte lo stesso scenario di un anno fa.  In Toscana c’è stata una campagna di vaccinazione perché la Regione presentava un numero di casi molto elevato e dunque si è vista costretta ad adottare le misure più stringenti con una vaccinazione diffusa. È ancora presto per parlare di successo o insuccesso della campagna-vaccinazioni perché non si possono vedere ancora gli effetti di un vaccino. È necessario attendere ancora sei mesi.

Esiste la possibilità di un’”espansione” diciamo del batterio responsabile della meningite e inoltre possiamo parlare di allarmismo mediatico?

M.D. Il rischio di un contagio fuori dai confini regionali della Toscana è sempre basso, mai elevato. Ho la sensazione che ci sia più attenzione mediatica su casi che c’erano anche prima ma che passavano inosservati. Sì, in effetti è in atto un allarmismo mediatico che esaspera una situazione. L’unica eccezione sono i due casi di Milano delle ragazze che frequentavano la stessa struttura universitaria. Si tratta di meningite meningococcica dello stesso sierotipo, dello stesso germe insomma. Questo risulta un po’ particolare.

Cosa pensa del programma vaccinazione proposto in Lombardia?

M.D. Circa la sensibilizzazione in merito al vaccino in Lombardia, nel 2015 ho assistito a una cosa simile per quanto riguarda l’influenza. Lo scorso anno non si voleva vaccinare nessuno, quest’anno invece si sono volute vaccinare tantissime persone perché evidentemente l’allarmismo creato dalla meningite si è trascinato anche sull’influenza.  Dipende molto da come i giornali pongono la situazione. Se i media terrorizzano gli assessori alla Sanità, che sono dei politici e devono fare riferimento alla popolazione, caldeggiano la somministrazione del vaccino a un prezzo scontato. Tutto questo però non ha un criterio medico.

In cosa si differenziano i casi di Milano rispetto agli altri?

M.D. Si tratta come anticipato di casi molto particolari perché è lo stesso germe a distanza di mesi, identificato con il dna. Si immagina, anche se ancora non c’è nulla di confermato, che ci sia un portatore sano (ricordiamoci sempre che il 10% della popolazione ha il meningococco nel naso) che ha questo germe particolarmente virulento e “cattivo”. Per questo hanno fatto un programma di vaccinazione che riguarda i contatti di queste due ragazze. I due casi poi hanno una distanza temporale piuttosto alta ed è per questo che si pensa al portatore sano. Non sarebbe possibile che una abbia contagiato l’altra. Il meccanismo è piuttosto semplice. Il portatore sano, che non ha nessuna malattia e nessun disturbo, passa a un altro portatore sano e il germe circola finchè non arriva a una persona che invece prende la malattia. Sembra dunque che non esista alcuna correlazione con i casi della Toscana.

Laura Fedel

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