Maltrattamenti al coniuge: alla donna viene risarcito il danno biologico nonostante l’assoluzione in sede penale (Cass. Civ., sez. VI – 3, 13 aprile 2022, n. 12009).

Maltrattamenti al coniuge esclusi dal Giudice penale come reato, ma sanzionato l’uomo per le lesioni fisiche e la sofferenza morale provocata alla moglie.

La Suprema Corte, nel caso a commento riguardante maltrattamenti al coniuge, ha cassato la decisione d’appello evidenziando che “è necessario tenere in considerazione non solo l’inabilità temporanea riportata dalla vittima a causa delle lesioni fisiche, ma anche la lesione del danno morale e alla vita di relazione”.

Per quel che qui rileva, all’esito del giudizio penale per i reati di cui agli artt. 572,582 e 585 c.p., perpetrati nei confronti della moglie, il Tribunale di Udine ha dichiarato l’uomo responsabile dei reati a lui ascritti, limitatamente all’anno 2014, e lo ha condannato alla pena di due anni di reclusione e alla corresponsione di Euro 7.000,00 in favore della parte civile, a titolo di risarcimento dei danni subiti.

La Corte d’Appello di Trieste, facendo applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ha assolto l’imputato dall’accusa di maltrattamenti al coniuge, anche per l’anno 2014, non reputando gli elementi di prova raccolti sufficienti a sostenere tale ipotesi accusatoria.

La Corte ha ritenuto che i maltrattamenti al coniuge commessi dall’uomo dovessero essere esaminati singolarmente e riqualificati quali reati di minacce e di lesioni, condannandolo alla pena di sei mesi di reclusione. Ciononostante, ha confermato la sentenza impugnata in merito alle statuizioni risarcitorie civili, alla luce della gravità delle lesioni cagionate e delle reiterate minacce rivolte nei confronti della moglie.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 4754/19 ha annullato la sentenza impugnata relativamente alle statuizioni civili e rinviato la quantificazione del danno al Giudice civile competente per valore in grado di appello.

La Corte d’Appello di Trieste, a seguilo della riassunzione del giudizio da parte della donna ha rideterminato il risarcimento dovuto nella somma di euro 2.000,00.

La Corte d’Appello, nel giudizio di riassunzione, ha ritenuto di valutare i dati certi emergenti dal procedimento penale costituiti dall’esistenza concreta delle lesioni, escoriazioni guaribili in sette giorni, dalla certezza acquisita per il passaggio in giudicato della sentenza penale sul punto della gravità dei comportamenti di maltrattamenti al coniuge posti in essere dall’imputato, qualificati come minacce ripetute e gravi. Pertanto, il Giudice dell’appello per la liquidazione del danno, nell’impossibilità di utilizzare integralmente le tabelle milanesi per il danno biologico, ha utilizzato il criterio equitativo puro.

L’uomo ricorre in Cassazione e lamenta che la Corte d’appello erroneamente applicato il criterio equitativo puro per la quantificazione del risarcimento dovuto alla moglie.

In particolare, il ricorrente afferma che i presupposti di applicazione del criterio equitativo siano la certezza sull’an, ossia sull’esistenza del danno, e l’incertezza non superabile sul quantum.

La censura non è fondata poiché l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il Giudice indichi i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum.

Per contro, la donna, con ricorso incidentale lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 2043,2059 e 1226 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c..

La Corte d’appello, secondo la donna, fissando il risarcimento di Euro 2.000,00, a titolo di danno biologico, non avrebbe tenuto in considerazione le ulteriori voci di danno sofferte, in particolare il danno morale e alla vita di relazione causati dai reati del marito, che erano invece stati correttamente riconosciuti in sede penale. La doglianza è fondata.

Dopo avere valutato l’an, il Giudice del merito nell’affrontare il quantum valuta solo il riconoscimento dell’inabilità temporanea di sette giorni, derivante dai maltrattamenti al coniuge, per un importo di Euro 1029,00 arrotondando poi ad Euro 2000 per effetto delle sofferenze derivante dalle minacce.

E’ stata dunque omessa la quantificazione del danno morale e del danno da vita di relazione, che invece è dovuta in considerazione “della sofferenza continua subita dalla donna”.

Pertanto, la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale della donna, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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