Non è necessaria la concreta produzione della sostanza psicoattiva ricavabile dalle piante, essendo sufficiente l’attitudine della pianta a completare il processo di maturazione e a produrre la sostanza

La coltivazione di piante di marijuana integra reato penale anche se non viene effettivamente prodotta la sostanza stupefacente. E’ quanto chiarito dalla Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 495/2017, in riferimento alla causa che vedeva imputato un soggetto accusato, i sensi dell’articolo 73 del D.P.R. n. 309/90 (Testo unico sulle sostanze stupefacenti), di aver per aver coltivato, presso un campo di sua proprietà, un elevato numero di piante di cannabis. Il tutto mediante un sistema di irrigazione direttamente collegato alla casa di abitazione del proprietario.
L’uomo era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Velletri alla pena di due mesi di reclusione e al pagamento di una multa pari a 4mila euro; una decisione basata su quanto osservato nel verbale di arresto e in quello di perquisizione domiciliare, nonché sugli esiti degli esami tossicologici e sull’interrogatorio dell’imputato e di due suoi complici.
Il condannato aveva quindi deciso di presentare appello davanti alla Corte territoriale osservando come non fosse stata accertata la presenza del principio attivo nelle piante, con la conseguenza che non poteva considerarsi verificata nemmeno l’offensività della condotta. A suo giudizio, l’unica condotta che poteva essere contestata era al più quella relativa alla coltivazione ma non quella della produzione dello stupefacente.
I Giudici di secondo grado non hanno tuttavia ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, respingendo l’appello confermando integralmente la sentenza del Tribunale. Per la Corte d’Appello, infatti, era stato accertato in primo grado l’allestimento da parte dell’imputato di una vera e propria coltivazione di piante di marijuana, vitali e munite di radici. Tale circostanza integrava pienamente il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, non essendo necessaria la concreta produzione della sostanza stupefacente ricavabile dalle piante di cannabis, ma essendo sufficiente l’attitudine della pianta a completare il processo di maturazione e a produrre la sostanza.
Richiamando una pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n.10169/2016), i Giudizi hanno precisato che “ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante delle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile”.

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