L’aggravante prevista dall’articolo 61 del codice penale determina un’estensione dell’ambito della tutela penale anche al minore che abbia assistito alla violenza, che è pienamente legittimato a costituirsi parte civile in quanto danneggiato dal reato

Violenza sessuale aggravata. Questa l’accusa mossa nei confronti di un uomo per aver costretto la convivente ad avere un rapporto sessuale con lui, costringendo la figlia minore ad assistere. In primo grado, il Tribunale aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato in quanto non sussistevano elementi di prova sufficienti a sostenere l’accusa, anche alla luce della ritrattazione della persona offesa davanti al Pubblico Ministero.
Il tutore della minore, tuttavia, ritenendo la decisione ingiusta, ha deciso di ricorrere davanti alla Suprema Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 45403/2016 ha accolto l’impugnazione presentata. Gli Ermellini hanno infatti rilevato la sussistenza della circostanza prevista dall’art. 61 del codice penale che prevede un aggravamento di pena “nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale e nel delitto di cui all’art. 572 c.p., quando il fatto sia commesso in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto o in danno di una persona in stato di gravidanza”.
La Cassazione ha chiarito che, con l’introduzione di tale disposizione, il legislatore ha voluto attribuire specifica valenza giuridica alla “violenza assistita”, ovvero il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza e, soprattutto, a quelli di cui è vittima la madre. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, quindi, il minore che abbia assistito ad uno dei delitti indicati nella disposizione può essere considerato anch’egli persona offesa del reato. La configurabilità di tale circostanza aggravante determina un’estensione dell’ambito della tutela penale, anche al minore che abbia assistito alla violenza, che pertanto, come tale, è pienamente legittimato a costituirsi parte civile, in quanto danneggiato dal reato”.
Nel caso in esame il Giudice, oltre al non aver adeguatamente tenuto conto dell’esistenza di significativi elementi a carico dell’imputato emergenti dalle dichiarazioni iniziali della vittima, aveva contraddittoriamente prosciolto l’imputato dal reato di violenza sessuale aggravata, con una motivazione che si limitava “a richiamare gli atti di indagine, senza indicarne, nemmeno in sintesi, il contenuto” e che non consentiva “di verificare la correttezza del percorso logico seguito dal primo giudice”.

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