Morbo di Alzheimer erroneamente diagnosticato (Cassazione civile, sez. III, 11/01/2023, n.545).

Morbo di Alzheimer erroneamente diagnosticato dal Collegio Medico-legale dell’Azienda Sanitaria.

Il danneggiato ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che, in parziale riforma della decisione di primo grado (che aveva accolto l’appello incidentale del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), con rigetto dell’appello principale e declaratoria di inammissibilità di quello incidentale della Azienda Sanitaria Provinciale, rigettava la domanda risarcitoria proposta nei confronti del MEF e confermava la condanna della sola ASPT a risarcire il danno non patrimoniale quantificato in Euro 10.000,00, oltre interessi legali.

La Corte territoriale, osservava che: a) il Tribunale di Palermo aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti dell’ASPT e del MEF, in quanto ritenuti responsabili della “errata diagnosi del morbo di Alzheimer eseguita, tra il 2005 e il 2006, dal collegio medico legale dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani e della commissione medica ministeriale di verifica”; b) non sussisteva, tuttavia, la responsabilità del MEF in quanto il danno lamentato dall’attore non poteva “essere riconducibile al giudizio espresso dalla Commissione Ministeriale” poiché: b.1) “tutta la documentazione allegata all’istanza rivolta alla commissione medica… convergeva chiaramente verso la diagnosi di malattia di Alzheimer”, nonché al “dato documentale sostanzialmente inequivoco si aggiungeva il cd. “quadro esteriore” certamente preoccupante emerso all’atto della visita ad opera della Commissione, laddove il paziente non era in grado di riferire la propria anamnesi personale, fornita dalla propria moglie, e si presentava disorientato nel tempo e nello spazio”; b.2) tale ultima circostanza era “decisiva per escludere la responsabilità in capo alla Commissione”, giacché, come evidenziato dal c.t.u., “l’esame obiettivo del paziente costituisce un elemento decisivo ai fini della diagnosi differenziale tra depressione grave di soffriva il paziente e morbo di Alzheimer”; b.3) soltanto in base alla c.t.u. del 7 maggio 2007, espletata nel giudizio promosso dinanzi al giudice del lavoro per ottenere la concessione dell’indennità di accompagnamento, veniva diagnosticato che lo stesso era affetto da “un disturbo cognitivo complicato da un lieve, iniziale declino cognitivo”; b.4) il giudizio della Commissione era stato, dunque, “indubbiamente determinato dalla diversa collaborazione del paziente e dai diversi sintomi dallo stesso obiettivamente manifestati, come avvenuto in occasione della terza visita effettuata nel dicembre 2009 da parte della Commissione, allorquando il paziente si era presentato loquace, disponibile a rispondere alle domande e riferiva di stare bene, dando luogo ad un quadro obiettivo esteriore completamente discordante rispetto al precedente”; b.5) l’errore diagnostico commesso dalla Commissione andava, quindi, “attribuito interamente al danneggiato”; c) era, poi, infondato l’appello che lamentava una erronea quantificazione del danno non patrimoniale per non esser state utilizzate le tabelle del Tribunale di Milano; comma 1) il danneggiato aveva diritto “al risarcimento del danno non patrimoniale consistente nel patema d’animo provato nell’aver appreso di essere affetto una grave malattia, in realtà insussistente”; comma 2) tale danno era stato correttamente liquidato dal Tribunale in via equitativa per l’estrema difficoltà di prova nel suo preciso ammontare, non potendo trovare applicazioni le tabelle del Tribunale di Milano in quanto “le stesse vanno utilizzate per liquidare il c.d. danno biologico, insussistente nel caso in esame”.

La vicenda approda in Cassazione ove viene lamentata la contraddittorietà della decisione in ordine alla attribuzione dell’errore diagnostico e non al giudizio della Commissione medica ministeriale.

Il Giudice di appello, secondo parte ricorrente, non avrebbe considerato che la ipotesi di una presunta simulazione del Morbo di Alzheimer, posta in essere al fine di ottenere vantaggi secondari, sia stata espressamente valutata sia dalla CTU effettuata in primo grado, che dalla successiva sentenza del Tribunale; sicché, la Corte territoriale non avrebbe motivato le ragioni del proprio dissenso dalla CTU.

La censura è inammissibile sotto diversi profili.

Anzitutto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Le censure di parte ricorrente, che argomentano di manifesta illogicità della sentenza impugnata e l’insanabile contraddizione che essa paleserebbe, fanno ricorso ad elementi esterni (C.T.U. medico-legale) alla stessa motivazione resa dal Giudice di appello, così da mostrarsi costruite come doglianze che veicolano il vizio motivazionale di cui alla previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nel vizio di omesso esame denunciabile, non è inquadrabile la CTU, in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, principale o secondario, rilevato e/o accertato dal consulente (Cass. n. 12387/2020; Cass. n. 22056//2020; Cass. n. 8584/2022; Cass. n. 31511/2022).

Ciò posto, il fatto storico del “quadro esteriore” che presentava obiettivamente il paziente all’atto della prima visita dinanzi alla Commissione medica, ovverosia non riuscire a riferire la propria anamnesi personale e l’essere disorientato nel tempo e nello spazio e che si aggiungeva al quadro emergente dalla documentazione clinica presentata dallo stesso danneggiato, all’epoca convergente per una diagnosi di  Alzheimer, è stato esaminato dalla Corte territoriale, che ha altresì posto in rilievo come proprio “l’esame obiettivo” era elemento decisivo ai fini della diagnosi differenziale tra depressione grave (di cui già soffriva) e morbo di Alzheimer”.

Parte ricorrente si sofferma, invece, sulla supposta simulazione di quadro esteriore durante la prima visita dinanzi alla Commissione medica che la Corte territoriale avrebbe posto a fondamento della decisione, circostanza che, comunque, non si rinviene nella sentenza impugnata.

La motivazione del Giudice di secondo grado richiama il convincimento che la diagnosi allora formulata dalla Commissione medica (e solo successivamente rivelatasi erronea) era riconducibile unicamente al complessivo comportamento ascrivibile al paziente nel corso della visita, da intendersi, dunque, come fatto colposo concorrente dello stesso danneggiato da solo sufficiente a determinare l’evento di danno.

Ciò posto, il giudizio della Corte territoriale sul nesso di causalità non può essere sindacato in Cassazione.

Con il secondo motivo viene lamentato che la Corte territoriale erroneamente avrebbe liquidato equitativamente il danno non patrimoniale (consistito nella prostrazione e nelle sofferenze patite per la errata diagnosi).

Il potere discrezionale conferito al Giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito.

La liquidazione in via equitativa del danno morale soggettivo è suscettibile di rilievi in sede di legittimità solo se difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, mancando ogni riferimento alla gravità del fatto, alle condizioni soggettive della persona, all’entità della sofferenza e del turbamento d’animo.

La Corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado che aveva provveduto ad una liquidazione equitativa in forma “pura”, ha dato conto dei fattori di incidenza sul danno patito, evidenziando che esso era correlato allo stato di sofferenza protrattosi per 8 mesi, durante i quali egli aveva vissuto sapendo di essere affetto da una grave malattia – il morbo di Alzheimer -, in realtà insussistente.

Il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento, in favore di entrambe le parti controricorrenti, delle spese del giudizio.

 Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui

Leggi anche:

Riparazione retinica e successivo distacco post operatorio

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui