Esclusa qualsiasi forma di negligenza del veterinario per il decesso di un quadrupede morto dopo la anestesia praticatagli per sostenere l’intervento di rimozione di un corpo estraneo dalle narici

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sulla controversia insorta a seguito del decesso di un cane, morto dopo la anestesia praticatagli dal veterinario. Il quadrupede, un boxer tigrato, doveva essere sottoposto a un intervento per l’estrazione di un corpo estraneo dalle narici. Il proprietario aveva quindi agito in giudizio nei confronti del medico per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Una pretesa che gli era stata negata sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale.

I Giudici del merito, infatti, basandosi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, avevano “escluso qualunque forma di negligenza” da parte del dottore. Il protocollo adoperato dal professionista, secondo il perito, era “corretto e documentato in ambito scientifico”. A detta dell’esperto la causa del decesso del cane era invece da imputarsi a una preesistente patologia da cui era affetto l’animale, scoperta a seguito dell’autopsia.

La patologia doveva essere giudicata come fattore causale autonomo, non conosciuto e non conoscibile dal veterinario all’atto dell’intervento.

Ad essa era attribuibile una “decisiva valenza nella produzione dell’evento letale”. Ciò escludeva, di conseguenza, “un rilevante apporto eziologico da parte del sanitario, almeno in termini probabilistici”. La complicazione, dunque, era stata prodotta da un evento del tutto imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento.

L’orientamento del Tribunale è stato condiviso anche dalla Suprema Corte che, con l’ordinanza n. 30008/2018, ha ritenuto di respingere il ricorso dell’attore in quanto infondato.

Gli Ermellini hanno chiarito che la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa con il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti.

La sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa. Tale principio vale sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito. In base all’art. 1218 c.c. il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta non ha l’onere di provare la colpa del debitore inadempiente.

Permane, invece, in capo all’attore, l’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento. Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria ciò si traduce con la dimostrazione, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario sia stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno.  Se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, la domanda deve essere rigettata.

I Giudice del Palazzaccio hanno inoltre respinto le doglianze del ricorrente relativa all’omissione, in secondo grado di giudizio, di un fatto decisivo. Nello specifico, il padrone del cane lamentava che, due mesi prima del decesso, l’animale era già stato sottoposto ad un intervento di estrazione di un corpo estraneo. In tale circostanza il quadrupede non aveva riportato alcun danno, pur essendo già affetto “dalla medesima patologia cui sarebbe stato ascritto il suo decesso”. Per la Suprema Corte, la circostanza riferita rappresentava un fatto non idoneo a determinare di per sé, con certezza, un esito diverso della controversia. Le condizioni di salute del cane al momento del secondo intervento erano infatti diverse da quelle in cui versava all’atto della prima operazione.

 

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