Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura il paziente, morto per uno shock settico secondario ad un ascesso anale complicato, con un decorso clinico diverso si sarebbe potuto salvare

Finiranno a processo cinque medici in servizio nel 2016 all’ospedale di Catanzaro accusati di omicidio colposo in relazione al decesso di un paziente morto per uno shock settico secondario ad un ascesso anale complicato.

Il Giudice per l’udienza preliminare ha infatti accolto la richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti dei professionisti, chirurghi e medici del Pronto soccorso tutti di età compresa tra i 47 e i 66 anni.

Secondo la Procura, i camici bianchi avrebbero agito con negligenza e imperizia  tardando nel formulare la giusta diagnosi e ad attivare le opportune terapie, così finendo col provocare il decesso del paziente.

L’uomo, in base a quanto ricostruito dalle indagini della magistratura, sarebbe arrivato in Pronto soccorso il 6 marzo 2016 intorno alle sei del mattino e sarebbe stato sottoposto a una consulenza specialistica senza che, tuttavia, gli venisse effettuato “un esame emocromocitometrico”.

Per l’accusa, inoltre, l’esecuzione di una corretta esplorazione rettale avrebbe consentito di rilevare o quantomeno sospettare la presenza “dell’ascesso perianale e prostatico”, indirizzando il paziente verso esami più approfonditi, come un’ecografia o una risonanza magnetica.

Tornato in Pronto soccorso con forti dolori dopo quattro giorni, il 10 marzo, l’uomo sarebbe stato subito dimesso e rinviato al medico curante, senza la disposizione di alcun tipo di accertamento sulle cause del dolore.

I medici, quindi, avrebbero ignorato la sintomatologia presentata dal paziente, senza approntare i dovuti approfondimenti che non solo avrebbero permesso di rilevare la presenza dell’ascesso, ma anche “dell’eventuale raccolta perirettale, poi evoluta in fascite necrotizzate e schock settico”.

La tesi del Pm, dunque, è che se i sanitari avessero consentito un decorso clinico completamente diverso il paziente si sarebbe potuto salvare “atteso che il rilievo della patologia ascessuale avrebbe garantito un terapia chirurgica e medica evitandone il decesso”.

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