Offese e maltrattamenti verbali nei confronti del dipendente provocano la condanna penale del datore di lavoro.

Offese e maltrattamenti: effettuate nei confronti del dipendente integrano il reato di maltrattamenti: Cass. pen., sez. VI, ud. 12 ottobre 2021 (dep. 20 gennaio 2022), n. 2378

Offese e maltrattamenti: Il datore di lavoro è stato condannato per il reato di maltrattamenti perpetrati nei confronti del proprio dipendente.

I Giudici di merito, prima il Tribunale di Udine e successivamente la Corte d’Appello di Trieste, condannavano il datore di lavoro per il reato di maltrattamenti ai danni del dipendente e la vicenda approda in Cassazione dove il datore deduce di  non avere mai tenuto condotte vessatorie nei confronti della lavoratrice, ammettendo, invece, di avere spesso fatto ricorso alle ingiurie e al turpiloquio.

La Suprema Corte, tuttavia, ritiene sussistente il reato di maltrattamenti in presenza di ingiurie e parolacce rivolte alla dipendente.

Per la realizzazione del reato di maltrattamenti  «è sufficiente qualsiasi condotta di abituale prevaricazione, tale da infliggere alla persona offesa vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, in tal modo imponendole un regime di vita persecutorio o umiliante ed un clima di abituale sopraffazione».

Ciò significa che offese e maltrattamenti verbali integrano il reato e impongono la condanna penale nei confronti dell’esecutore.

Gli Ermellini ribadiscono che  anche attraverso il reiterato ricorso alle offese e al turpiloquio nelle relazioni interpersonali, si può sottoporre la persona presa di mira a una condizione di prevaricazione. A maggior ragione quando, come in questo caso, il datore di lavoro prende di mira la dipendente in presenza dei colleghi di lavoro e dei clienti, così inevitabilmente compromettendone la dignità e la reputazione.

L’imputato sostiene la insussistenza del reato di maltrattamenti in presenza di sole offese e maltrattamenti verbali, ma tale tesi non ha colto nel segno.

Per quanto concerne la doglianza riguardante l’entità del risarcimento del danno, la Corte territoriale ne ha dato motivazione adeguata, considerato che è stata applicata la liquidazione fondata su basi equitative.

In tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la valutazione del Giudice, affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria.

Infine, è infondato il secondo motivo  di ricorso, con cui il ricorrente lamenta un difetto di correlazione tra accusa e decisione per non aver trovato riscontro il motivo delle condotte maltrattanti ipotizzato nel relativo capo d’imputazione e consistente nel rifiuto opposto dalla lavoratrice alle avances sessuali dell’imputato.

La violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e decisione adottata deve essere esclusa, infatti, nel caso in cui nell’imputazione risulti addebitato un movente diverso da quello effettivamente accertato, in quanto tale elemento non rientra in quelli costitutivi del fatto di reato.

Il ricorso viene dichiarato inammissibile.

L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del proponente a sostenere le spese del procedimento ed a versare una somma in favore della Cassa delle ammende dell’importo di € 3.000,00.

Avv. Emanuela Foligno

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