Omissione di esami di screening e diagnostica prenatale (Cassazione civile sez. III, 24/03/2023, n.8496).

Omissione di esami neonatali e nascita di neonato affetto da sindrome di Down.

I genitori del bambino depositavano ATP deducendo l’inesatta esecuzione delle obbligazioni del Ginecologo e dell’Ospedale in relazione alla sindrome di Down riscontrata alla nascita.

Dall’ATP emergeva che la gestante non era stata sottoposta agli esami di screening e di diagnostica prenatale, né era stata preventivamente ed adeguatamente informata della possibilità di svolgerli per individuare eventuali malformazioni fetali.

Veniva successivamente instaurato giudizio civile dinanzi al Tribunale di Pordenone, e il Giudice condannava in solido il Medico e la Struttura sanitaria al risarcimento dei danni.

L’Assicurazione propone appello e la Corte di Trieste lo accoglieva in relazione alla lesione del contraddittorio conseguente all’avere il Giudice di primo grado illegittimamente fondato la decisione impugnata anche sull’ATP eseguito senza partecipazione della Compagnia, e rigettava la domanda di manleva.

La Struttura e il Ginecologo propongono ricorso per Cassazione

I ricorrenti, per quanto qui di interesse, censurano la inutilizzabilità, quale fonte di prova nei confronti della Compagnia, la consulenza tecnica d’ufficio resa in ATP e il rigetto della domanda di manleva della ASL e del Ginecologo nei confronti delle Assicurazioni Generali.

Segnalano, sul punto,  (richiamando Cass. n. 18567 del 2018) che le risultanze acquisite tramite ATP sono comunque valutabili nei confronti di tutte le parti del giudizio di cognizione (anche di quelle che non parteciparono all’accertamento preventivo), come elementi di prova. Per quanto concerne la non contestazione della Compagnia avvenuta in appello dell’accertamento di responsabilità contenuto nella sentenza di primo grado tra la struttura e i danneggiati, deducono che la Corte d’appello non avrebbe potuto non tener conto del rapporto di manleva.

Il primo motivo del ricorso è fondato.

L’Assicurazione non ha partecipato all’ATP ma è stata evocata in causa nel successivo giudizio di cognizione, fin dal primo grado, e vi ha partecipato. Nel corso del giudizio di cognizione è stata prodotta la relazione conclusiva dell’ATP, che è venuta a far parte del materiale probatorio idoneo a fondare il convincimento del Giudice, nel contraddittorio tra le parti. In merito ad essa l’Assicurazione, come gli altri convenuti, ha avuto possibilità di prendere posizione, argomentare ed indicare mezzi di prova atti a confutarne le risultanze. Ha mantenuto, viceversa, un atteggiamento processuale meramente passivo, limitandosi ad eccepire la propria estraneità all’ATP e la conseguente inopponibilità di esso nei suoi confronti.

Oltre a ciò, in appello, la Compagnia ha mutato strategia processuale e, laddove in primo grado aveva contestato la responsabilità, in appello non ha contestato alcunché in merito alla responsabilità dei soggetti –  Medico e Struttura – che era chiamata a garantire, accertata dal primo Giudice.

La relazione conclusiva di ATP è un documento che può essere validamente prodotto nel successivo giudizio di merito ed è liberamente valutabile dal Giudice, che può trarne elementi di prova, anche se ad esso partecipino soggetti che non sono stati presenti nel procedimento. Pur essendo privo di ogni efficacia di prova privilegiata nel successivo giudizio di merito, esso costituisce un documento utilizzabile dal Giudice come elemento di prova nei confronti di tutte le parti del giudizio di merito.

Secondo il principio del libero convincimento del Giudice, la decisione può fondarsi anche su prove non espressamente previste dal codice di rito, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (Cass. n. 13229 del 2015).

Ergo, la relazione conclusiva dell’ATP al quale una delle parti non abbia partecipato, che sia stata ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, può essere valutata come prova atipica, e quindi idonea a fondare il convincimento.

Conclusivamente, la Corte di Cassazione, accoglie il primo motivo di ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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