Uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Verona dimostra una relazione diretta fra l’aumento della concentrazione della molecola ammonio presente nell’umor vitreo e il tempo trascorso dall’ora del decesso

Calcolare con notevole accuratezza l’ora del decesso analizzando la concentrazione della molecola ammonio nell’umor vitreo, ovvero un fluido trasparente che riempie l’occhio umano. Il tutto senza utilizzare strumentazione costosa e ingombrante. Il metodo, che rappresenta un’importante novità nei campi della medicina legale e della criminologia forense, è stato messo a punto dall’università di Verona.

Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Analytica Chimica Acta’, è stato coordinato dalla sezione di Medicina legale, diretta da Franco Tagliaro, del dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica, diretto da Albino Poli, con la collaborazione dell’Institute of Translational Medicine and Biotechnology della Sechenov University di Mosca.

“Già nel 2018 – spiega Giacomo Musile, primo autore dello studio – è stata dimostrata una relazione diretta fra l’aumento della concentrazione della molecola ammonio presente nell’umor vitreo, la soluzione gelatinosa presente nell’occhio, e il tempo trascorso tra la morte e il ritrovamento del cadavere”.

“L’analisi della molecola ammonio, nell’ambito di questa precedente ricerca, era stata effettuata mediante un metodo strumentale chiamato elettroforesi capillare”.

“Tuttavia – aggiunge il ricercatore – la decisione di sfruttare anche un metodo alternativo, impiegando la microfluidica, che permette analisi chimiche e biochimiche con sistemi a basso costo e di facile utilizzo, deriva dalla considerazione che la determinazione dell’intervallo post-mortale, fondamentale nelle prime fasi dell’indagine giudiziaria, potrebbe avere maggiore rilevanza se effettuata, con precisione, immediatamente sulla scena del crimine. Dopo un lungo lavoro di sviluppo, il metodo da noi proposto ha dimostrato la possibilità di calcolare la concentrazione della molecola ammonio nell’umore vitreo e quindi di calcolare con una certa accuratezza l’epoca del decesso, senza utilizzare strumentazione costosa e ingombrante”.

I metodi tradizionali attualmente in uso sono basati su fenomeni fisici che avvengono dopo la morte, in particolare fenomeni come l’irrigidimento dei muscoli, la presenza di accumuli di sangue visibili a occhio nudo a livello cutaneo nelle parti del corpo più basse in relazione alla posizione assunta dal cadavere e la progressiva diminuzione della temperatura corporea.

“I primi due fenomeni – fanno sapere dall’Università di Verona – non sono di solito valutati in base a parametri oggettivi ma solo in base all’esperienza del medico legale.  Il terzo parametro, sebbene si basi su un dato oggettivo, cioè la temperatura corporea, può essere influenzato da vari fattori esterni quali temperatura ambientale, massa corporea, indumenti, che possono alterare fortemente il fenomeno e quindi inficiare il calcolo del tempo post-mortale. Inoltre, la temperatura corporea tipicamente si equilibra con la temperatura ambientale entro la ventesima ora post-mortem, dopo la quale il metodo è inutilizzabile”.

“Il metodo da noi proposto invece – conclude Musile – essendo basato su reazioni biochimiche di deamminazione delle proteine, potrebbe fornire, già sulla scena del reato, importanti informazioni con maggiore oggettività e in modo quantitativo, non influenzate dall’esperienza del personale medico che effettua la visita. Questa tecnologia è, inoltre, potenzialmente adattabile a svariati contesti nel settore delle scienze. Nelle condizioni attuali la sfida principale è quella di riuscire a identificare sostanze di interesse forense presenti nel sangue in ridotte quantità, come già è stato dimostrato per alcune sostanze di abuso. Altre determinazioni di interesse forense riguardano l’analisi rapida del cianuro, di sostanze esplosive e dei residui dello sparo”.

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