Accolto il ricorso di due correntisti che si erano visti respingere la richiesta di rimborso per dei prelievi non autorizzati con la loro carta bancomat

In caso di prelievi bancomat non riconosciuti dal correntista spetta alla banca dimostrarne l’imputabilità al cliente per colpa grave. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9721/2020 accogliendo il ricorso di una coppia, titolare di un conto corrente sul quale erano depositati circa 23 mila euro, che chiedeva il rimborso della somma dopo che il saldo era stato azzerato nel giro di due giorni mediante prelievi effettuati allo sportelli effettuati abusivamente.

In sede di merito i Giudici avevano ritenuto di respingere la pretesa degli attori ritenendo che questi ultimi non avessero dimostrato la diligente custodia del bancomat, evidenziando, peraltro, come la denuncia fosse stata tradiva. Inoltre, le condizioni generali di contratto avrebbero reso la banca irresponsabile per i prelievi anteriori alla richiesta di blocco della carta.

La Suprema Corte, invece, con la sentenza n. 9721/2020 ha ritenuto di accogliere il ricorso dei clienti sottolineando come la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere, sia tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente.

In altri termini spetta all’Istituto di credito dimostrare che il prelievo non sia opera di terzi, ma sia riconducibile comunque alla volontà del cliente. Quest’ultimo subisce le conseguenze della perdita solo se “per colpa grave, ha dato adito o ha aggravato il prelievo illegittimo”.

Nel caso esaminato, i Giudici Ermellini hanno valorizzato il fatto che la denuncia fosse avvenuta il giorno successivo ai prelievi e, dunque, “senza indugio”, come previsto dalla normativa. Aldilà di tale aspetto, poi, il Tribunale aveva errato a far gravare l’onere della prova sui correntisti, incaricandoli di dimostrare di non aver ceduto ad alcuno la tessera o il PIN e di avere diligentemente custodito la carta. Il Giudice a quo, infine, aveva omesso di considerare il dato legislativo, facendo invece prevalere il significato proprio delle condizioni generali di contratto, “che pone a carico del correntista, qualora ovviamente emerga l’uso indebito da parte del terzo, solo la somma di 150 euro di quanto indebitamente prelevato prima della denuncia di blocco”.

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