Danno da emotrasfusione: chiarificazione dei concetti di prescrizione e liquidazione (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2023, n. 16468).

Prescrizione e liquidazione del danno da emotrasfusione nuovamente all’attenzione della Suprema Corte che con la decisione qui a commento fornisce alcuni chiarimenti sul termine prescrizionale e sui criteri da utilizzare per la liquidazione.

La vicenda risale al 1992, quando in occasione di un intervento chirurgico, il paziente viene sottoposto a una emotrasfusione e contrae l’epatite C che, nel 2001, ne determinava il decesso per cirrosi epatica.

Dopo alcuni anni, i congiunti del paziente, avuta contezza della correlazione tra l’emotrasfusione e il virus da HCV, citano a giudizio il Ministero della Salute per sentirlo condannare al ristoro dei danni iure hereditatis e iure proprio.

Il Tribunale di Lecce respinge la domanda jure hereditatis per prescrizione e quella jure proprio per omessa prova del rapporto di convivenza con il paziente deceduto.

La Corte d’Appello di Lecce, in riforma parziale, accoglieva la domanda Jure proprio, liquidando, tuttavia, somme inferiori rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle Tabelle di Milano. Confermava la intervenuta prescrizione della domanda Jure hereditatis, ritenendo che la consapevolezza della malattia risalisse a una certificazione medica del 1999.

La vicenda approda in Cassazione ove i congiunti del paziente lamentano la errata applicazione del dies a quo del termine di prescrizione e la errata liquidazione del danno.

Entrambe le censure sono fondate. Per quanto concerne la prima, la Cassazione ribadisce che il termine quinquennale di prescrizione per l’esercizio del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., dal momento in cui la malattia è percepibile quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (v. Cass. 27 settembre 2019, n. 24164; Cass. 31 gennaio 2019, n. 2789; Cass. 31 maggio 2018, n. 13745; Cass. 22 settembre 2017, n. 22045; Cass. 18 novembre 2015, n. 23635; Cass. 30 luglio 2014, n. 17403; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 580; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576).

Qualora l’interessato proponga la domanda amministrativa volta alla corresponsione dell’indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, il termine di prescrizione quinquennale può ragionevolmente farsi decorrere da tale momento, essendo allora maturata una sufficiente e adeguata percezione della malattia.  

Invece, se l’interessato non propone la domanda amministrativa di cui alla l. n. 210/1992, deve essere accertato il momento di decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusione, tenendo conto della corretta distribuzione degli oneri probatori. Pertanto, è onere della parte che eccepisce la prescrizione allegare e provare il fatto temporale costitutivo dell’eccezione, ossia la prolungata inerzia nell’esercizio del diritto al risarcimento del danno, in quanto riconducibile al termine iniziale di oggettiva conoscibilità della etiopatogenesi.

In difetto di ogni informazione medica, che espliciti anche la solo possibile eziologia della patologia, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno può non iniziare a decorrere sino alla morte del paziente; in tal caso, il diritto al risarcimento del danno per l’illecito lungolatente della vittima si trasferisce agli eredi che sono legittimati ad azionarlo iure hereditatis.

Pertanto, la Corte di Lecce ha errato nell’individuare il principio da applicare per l’individuazione del dies a quo della prescrizione del danno iure hereditatis fatto valere dai congiunti, omettendo peraltro di motivare perché la certificazione medica del 1999, pur in mancanza di dati espliciti, sarebbe stata idonea ad attestare il nesso causale tra l’emotrasfusione e l’epatite C. 

Venendo alla liquidazione del danno non patrimoniale, gli Ermellini rammentano: “non è consentito, di regola, il ricorso a una liquidazione equitativa pura non fondata su criteri obiettivi, essendo questi ultimi i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all’apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo (v. Cass. 18 maggio 2017, n. 12470; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20985)”.

La liquidazione equitativa pura, ossia non conforme ai valori astrattamente previsti dalle tabelle in uso, può essere utilizzata solo quando ricorrono circostanze peculiari di cui sia fornita logica e congrua motivazione (v. Cass. 16 dicembre 2022, n. 37009; Cass. 13 dicembre 2022, n. 36297; Cass. 29 settembre 2021, n. 26300). 

La decisione viene cassata con rinvio in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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