Riduzione della capacità lavorativa causata da sinistro stradale (Cassazione civile, sez. III, 29/11/2022, n.35015).

Riduzione della capacità lavorativa futura di un soggetto minorenne coinvolto in un sinistro stradale.

A seguito di un sinistro stradale occorso al danneggiato (all’epoca quindicenne), che, mentre era alla guida di un ciclomotore veniva investito da un’automobile, agivano in giudizio i genitori e il fratello onde ottenere il ristoro dei danni patiti.

Il Tribunale, riteneva l’esclusiva responsabilità del conducente dell’automobile e accoglieva parzialmente le domande condannando i convenuti, in solido, al pagamento di  euro 368.653,68 Euro (detratti gli acconti liquidati).

La decisione viene appellata dai danneggiati e la Corte territoriale di Venezia confermava la liquidazione del danno in favore del danneggiato principale e incrementava  a euro 20.000,00 il risarcimento del danno non patrimoniale in favore di ciascun genitore e a euro 10.000,00.

Nello specifico, la Corte ha respinto il motivo di gravame concernente la quantificazione del danno non patrimoniale subito dal motociclista minorenne, rilevando che il primo Giudice applicava la misura massima prevista dalle tabelle milanesi, effettuando anche una personalizzazione pari al 25%; ha rigettato, altresì, la censura relativa alla liquidazione del danno patrimoniale conseguente alla riduzione della capacità lavorativa.

Per questo aspetto, il CTU aveva stimato l’incapacità parziale in misura compresa tra la metà e 1/3, la Corte di merito ha ritenuto corretta la quantificazione nella misura di 1/3 effettuata dal primo Giudice, “in considerazione del particolare ambito in cui il danneggiato svolgerà la propria attività lavorativa”; ha spiegato che “il danneggiato, pur avendo una limitata capacità a mantenere la postura eretta potrà comunque svolgere attività in ufficio, ripartendo con il fratello ed il padre tutte le attività inerenti alla piccola attività di impresa esercitata, in modo da lasciare al padre prima e al fratello poi le attività “di cantiere”, riservando per sé quelle meno pratiche, comunque importanti, che si svolgono in ufficio”;

La Corte ha inoltre confermato la quantificazione del minor guadagno, effettuata “calcolando il reddito nella misura media tra quello percepito dal fratello, da poco entrato come dipendente nell’impresa paterna e quello goduto dal padre”, reputando “verosimile che il danneggiato abbia una progressione di stipendio nell’arco di tempo della propria vita lavorativa in considerazione della sempre maggiore anzianità e competenza acquisita e non percepisca da subito un reddito pari a quello del padre”.

Il danneggiato principale, divenuto maggiorenne, propone ricorso per cassazione.

Lamenta il parziale riconoscimento e conseguente omessa integrale liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante per la perdita della capacità lavorativa e sotto altro profilo, contesta la base economica di calcolo del danno, rilevando che il Giudice di merito si era “limitato a fare una sorta di “media ponderata” tra i reddito del padre (Euro 120.662,20) e quello del fratello (Euro 23.350,00), senza indicare il percorso motivazionale che l’aveva condotto a ritenere la somma di Euro 48.000,00 equa ai fini del ristoro dell’intero danno futuro”; assume che “ben più corretto sarebbe stato prendere come entità di paragone il solo reddito paterno come reddito futuro”.

In sintesi, il ricorrente si duole che la Corte non abbia riconosciuto la riduzione della capacità lavorativa nella misura del 50%, in relazione all’esplicazione dell’attività di geometra di cantiere, rilevando come il riconoscimento nella misura di 1/3 sia basato “su un immaginato aiuto costante, vita natural durante, della famiglia nella sua attività lavorativa”, che tuttavia costituisce un dato non scontato e non emerso in alcun modo nel giudizio, oltre ad essere “contrario ad ogni logica di sopravvivenza”.

Il motivo è inammissibile quanto al secondo e al terzo profilo, mentre è fondato in relazione al primo.

L’individuazione della presumibile base reddituale cui parametrare il danno futuro da riduzione della capacità lavorativa è stata effettuata secondo un criterio (che, avuti presenti i redditi del padre e del fratello, ha tenuto conto della progressività degli incrementi reddituali maturabili nell’arco nella vita lavorativa) che non risulta prima facie privo di plausibilità e che non è sindacabile in sede di legittimità in quanto sottende apprezzamenti fattuali riservati al giudice di merito.

Neppure è esaminabile la deduzione dell’erroneità del coefficiente di capitalizzazione applicato, atteso che si tratta di questione che non risulta trattata dalla sentenza impugnata e rispetto alla quale il ricorrente ha omesso di indicare in modo adeguato come, e in che termini, sia stata dedotta nei gradi di merito, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura (risultando a tal fine insufficiente il mero generico riferimento all’atto di citazione introduttivo del giudizio e all’atto di appello).

E’ fondata, come detto, la censura concernente la quantificazione della riduzione della capacità lavorativa nella misura di 1/3.

Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale è giuridicamente viziato in quanto non tiene conto della effettiva entità della riduzione della capacità lavorativa in relazione all’attività lavorativa che la giovane vittima avrebbe – ed ha poi – intrapreso (ossia quella di geometra, comportante di per sé anche lo svolgimento di attività di cantiere) e perviene a determinare la misura di 1/3 sull’assunto di una possibilità (quella della ripartizione dei compiti nell’azienda di famiglia in modo da riservare al ricorrente il solo lavoro di ufficio) che costituisce un fattore “esterno” rispetto alla condizione di menomazione.

Tale ragionamento, inoltre, presuppone una permanenza a vita del ricorrente all’interno dell’azienda paterna e una persistente disponibilità del padre e del fratello a esonerarlo dall’attività di cantiere. Tali valutazioni sono fragili e presuntive  e implicano una sorta di vincolo per il danneggiato a non cambiare ambiente lavorativo.

Pertanto, la decisione impugnata non è rispettosa del criterio della integralità del risarcimento, poiché non si confronta con l’effettività del danno (vale a dire con l’inidoneità/difficoltà del danneggiato a svolgere attività di cantiere) e comporta un ingiustificato alleggerimento del debito risarcitorio dei responsabili a fronte dell’ipotizzato sacrificio dei familiari.  

In relazione all’anzidetto profilo la sentenza viene cassata con rinvio alla Corte territoriale per nuovo esame.

Avv. Emanuela Foligno

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